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Bimba dimenticata in auto: il "cortocircuito cerebrale" che ci minaccia tutti
La tragedia della mamma di Arezzo che ha trovato morta la figlioletta dimenticata in auto è un fenomeno non così inconsueto. E la scienza spiega perché
La tragedia di Ilaria Naldini, la giovane mamma di Arezzo che, salendo in auto dopo essere uscita dal lavoro, ha trovato la figlioletta morta realizzando così di essersi dimenticata di portarla all'asilo, ha infiammato i social network e, ovviamente, sul profilo facebook della donna si è scatenato l'inferno. Fra i timidi tentativi di chiedere rispetto per una tragedia impossibile da superare, volano insulti e ingiurie d'ogni genere.
La "giuria popolare" ha decretato che la donna è una poco di buono e quindi, trasformatasi in giudice, in boia e in becchino, l'ha già condannata, giustiziata e sepolta in terreno sconsacrato fuori delle mura della città. A un'analisi superficiale l'idea di poter dimenticare il proprio figlio in auto risulta intollerabile e assurda, e tuttavia esistono studi scientifici che, non solo sostengono che sia del tutto possibile, ma che chiunque può essere a rischio.
Gli psichiatri chiamati a fare da consulenti nei casi di questo genere, che sono più frequenti di quanto pensiamo, specie oltreoceano, dichiarano che al momento dei fatti la madre o il padre della piccola vittima è totalmente incapace di intendere e di volere e che la causa risiede in quella che viene definita "amnesia dissociativa".
Una sorta di "buco della memoria", un cortocircuito temporaneo che porta alla perdita totale della nozione del tempo e dei ricordi. Un "cortocircuito cerebrale" la cui causa è soprattutto lo stress.
David Diamond, docente di Psicologia, Farmacologia molecolare e Fisiologia, spiega per filo e per segno i meccanismi di questo "blackout" che avviene nella mente dei genitori delle piccole vittime. Il professor Diamond distingue tra "memoria prospettica" e "memoria abitudinaria". La memoria prospettica, in parole semplici, concerne il ricordo delle scadenze future (una bolletta, una data da ricordare, e così via) e di azioni che dobbiamo ancora compiere. Fra cui, ovviamente, il ricordo di portare il proprio figlio a scuola o all'asilo. La memoria abitudinaria, invece, è quella che riguarda le azioni che compiamo abitualmente, meccanicamente. Come per esempio il ricordo del tragitto fra casa e scuola e fra scuola e posto di lavoro.
Per fare un esempio semplice, immaginiamo che, prima di uscire di casa, ci siamo accorti di non avere più il pane. Prendiamo un appunto mentale di andare a comprarlo tornando a casa dal lavoro. Ma, usciti dal lavoro, la memoria abitudinaria ci porta direttamente a casa, soffocando la memoria prospettica che invece ci "ricordava" di passare a prendere il pane.
Qualcuno obietterà che dimenticarsi di andare a comprare il pane non è esattamente come dimenticarsi il figlioletto in auto; e invece si tratta praticamente della stessa cosa. La memoria abitudinaria sopprime quella prospettica, creando una sorta di "inganno". Per questo motivo, anche se il nostro figlioletto è ancora sul sedile posteriore addormentato, siamo convintissimi di averlo già portato a scuola lungo il tragitto da casa al lavoro, poiché lo abbiamo fatto abitualmente una marea di volte.
Per fortuna ciò non capita sempre, ma può succedere. E lo stress cui siamo sottoposti ogni giorno unito alla stanchezza e a elementi quali per esempio il debito di sonno, può innescare facilmente questo cortocircuito. Rendiamoci anche conto che la nostra mente non è analitica, bensì sintetica. E che spesso non vediamo ciò che invece abbiamo sotto i nostri occhi.
La tragedia di Ilaria Naldini, che deve suscitare un moto di pietà umana anziché la smania di linciaggio, è dunque un caso estremo che, tuttavia, minaccia tutti noi, che ci illudiamo di piegare il cervello ai nostri pensieri, alle nostre riflessioni, alla nostra volontà. Quando invece, molto spesso, il cervello si ribella, ci mente, ci inganna anche fatalmente.
Ilaria Naldini vivrà per il resto dei suoi giorni nella prigione più dura che si possa immaginare, evitiamo dunque di condannarla oltre, perché chiunque in questo momento potrebbe essere al suo posto. Chiunque abbia un cervello. Pensante o meno.