Cronache
Cecchi Gori, parla l'ex legale: "Mi auguro non faccia la fine di Rizzoli"
Vittorio Cecchi Gori, condannato giovedì scorso in via definitiva per il crac della casa di produzione cinematografica Safin e condannato a scontare 8 anni e 5 mesi di reclusione, è ricoverato in ospedale a Roma, dove si trova piantonato. In tanti, nel mondo del cinema e della cultura hanno parlato per lui. Affaritaliani.it ha intervistato Sergio Scicchitano, esperto giurista di diritto penale e fallimentare, in passato anche legale di Cecchi Gori.
Lei ha avuto in passato Cecchi Gori come cliente? In quale caso l’ha seguito?
Si, in passato ho assistito Vittorio Cecchi Gori ed in particolare, nel 2007 in Corte d’Appello opponendoci alla sentenza del Tribunale Civile di Roma che aveva dichiarato il fallimento della Cecchi Gori Group Fin.Ma.Vi .
Che idea si è fatto della vicenda di Cecchi Gori?
L’idea che mi sono fatto è che Vittorio non avesse attorno a sé una squadra di consulenti - nel settore cinematografico - in grado di comprendere e prevenire la crisi del settore per lo stravolgimento intervenuto nel mercato per l’avvento dirompente dei grandi circuiti televisivi come Sky e più in generale di tutte le reti televisive. Il tutto al netto del fenomeno di internet, che ha consentito la visione dei film appena usciti sui circuiti cinematografici. Di più era fortemente distratto da questioni personali che gli toglievano tempo e serenità nella gestione dell’azienda.
Molte personalità del mondo del cinema stanno sostenendo Cecchi Gori ritenendo l’arresto eccessivo. Qual è la sua opinione?
Mi sono già espresso e trovo vergognoso come in Italia siano normate le pene: non mi sembra affatto giusto che quelle previste per i reati contro la persona siano più notevolmente più lievi di quelle previste per i reati contro il patrimonio. È una questione di civiltà, prima ancora che giuridica. Ha detto bene De Sica: “Non si può infliggere una pena di 5 anni per l’omicidio Vannini e poi darne una di quasi il doppio al povero Vittorio.”
È tutto da rifare. Come disse Bartoli: tutta da riscrivere la vera riforma sulla giustizia penale.
Da quando è iniziato il dissesto economico di Cecchi Gori cos’è cambiato nella Legge Fallimentare italiana?
In Italia è iniziato un processo di cambiamento del modo stesso di percepire la crisi d’impresa.
Finalmente ci si è resi conto, e su questo hanno avuto un ruolo fondamentale anche gli orientamenti e le teorie che sul punto si sono formati a livello europeo, che le imprese in crisi e che non riescono a stare sul mercato non sono solo delle entità che – assorbendo inutilmente risorse senza produrre in alcun modo ricchezza – devono essere definitivamente rottamate attraverso l’istituto del fallimento.
Si è acquisita consapevolezza del fatto che la crisi di un’impresa produce effetti a cascata su altri operatori del tessuto economico nazionale e su altre realtà. La vecchia legge fallimentare del 1942 chiudeva gli occhi su alcune conseguenze importanti (mi viene in mente il diritto dei lavoratori al mantenimento del posto di lavoro).
Finalmente oggi ci si è accorti che aiutare un’impresa in crisi attraverso il ricorso a procedure ispirate alla salvaguardia della sua continuità aziendale e dei suoi valori vitali, significa renderla maggiormente forte e competitiva. Nella mia esperienza pluridecennale di assistenza alle imprese ho riscontrato che le aziende che sono in grado di superare, sia pure attraverso l’ausilio di tali procedure, momenti di crisi sono proprio quelle che in futuro sapranno resistere meglio in un mercato sempre più competitivo.
Cosa pensa che accadrà?
Mi auguro che non faccia la fine di Angelo Rizzoli. Da giurista posso dire, riallacciandomi a quanto sopra detto, che oggi Vittorio sta scontando la logica prettamente “punitiva” che un tempo pervadeva tutte le vicende connesse alla crisi d’impresa.
Da uomo mi auspico che la giustizia e soprattutto l’autorità giudiziaria segua la logica del buon senso e sappia guardare anche il lato buono del telaio, valorizzando al massimo tutto quello che Vittorio ha saputo costruire nel corso degli anni e considerando Vittorio, per rispolverare appunto un’espressione molto in voga nelle aule fallimentari all’epoca in cui la sua vicenda è cominciata, un imprenditore “onesto ma sfortunato”