Cronache

Concessioni balneari alle multinazionali straniere? L'Italia non rischia se..

di Giacomo Costa

Conversazione su spiagge e concessioni balneari: l'Italia deve uniformarsi alla famosa Direttiva Bolkestein. E poi...

GC: i Suoi richiami geografici sono istruttivi e quasi poetici, ma temo fuori luogo. La Direttiva non impone un concetto di spiaggia, nessun requisito affinché un suolo costiero possa dirsi un arenile o no come quelli elaborati per la frutta e la verdura. Impone un regime di gestione dei servizi offerti ai frequentatori delle varie spiagge. Non ha senso definirla “schema astratto e ideologico” (come pur ha fatto Aldo Cazzullo, in un suo colloquio con i lettori, Corsera 7 Maggio 23) più di quanto ne avrebbe ogni altro tipo di principio di regolazione delle attività balneari, ad esempio il pieno sfolgorante vigore del diritto di insistenza. Naturalmente la Direttiva non impone neppure un unico schema di gara e un unico tipo di contratto di concessione: che possono quindi essere disegnati in modo da tener conto delle peculiarità delle singole spiagge.

AC: ma non vede che le gare sarebbero vinte dalle grandi multinazionali straniere, che sfrutterebbero le nostre bellezze naturali per trasferirebbero all’estero gran parte dei guadagni? Già oggi su 10 euro che uno straniero spende in Italia, almeno 8 finiscono all’estero…Sarebbe come invitarle a rapinarci.

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GC: Data la grande varietà delle nostre spiagge, su cui Lei si è soffermato, mi pare improbabile che “le multinazionali straniere” siano destinate a vincere ogni gara. D’altra parte, noi come Italia siamo uno dei paesi fondatori del Mercato Comune, poi divenuto Mercato Unico. E partecipiamo perché abbiamo pensato che il mercato ci dia occasioni in più sia di produzione, sia di consumo. Abbiamo dunque accettato la concorrenza nel Mercato Unico come principio regolatore dell’attività economica. In ogni caso la rapina che Lei teme non ci sarà perché i concessionari francesi, o tedeschi, non potranno che giovarsi dei fattori produttivi locali. L’esportazione dei profitti, che potrebbe anche non esserci, non comporta l’esportazione di salari, interessi, canone.

AC: perché dice che i profitti di un concessionario straniero potrebbero non essere da lui rimpatriati?

GC: perché potrebbero essere investiti nella concessione.

AC: ma non vede che questo è il gatto che si morde la coda? Non lo farà se non avrà la garanzia che l’ipotetico reinvestimento renda, ma solo la certezza della riconferma alla scadenza del contratto di concessione consentirebbe di eliminare il rischio.

GC: sono d’accordo sulla prima delle due proposizioni, ma non sulla seconda. E’ possibile disegnare dei contratti di concessione che consentano al concessionario insediato ma non riconfermato un consistente rimborso dei suoi investimenti e quindi non facciano mancare l’incentivo a compierli anche a un soggetto che sa che potrebbe non ottenere il rinnovo.

A.C. Non credo. E come si farebbe?

G.C. Il problema è discusso, con una varietà di soluzioni, da diversi economisti. Una idea interessante è di lasciar indicare dal concessionario insediato il valore complessivo dei sui investimenti, e prendere tale valore come base d’asta e come cifra alla quale rapportare, secondo una percentuale pre-definita, il nuovo canone. Si veda l’articolo di Alberto Heimler su LaVoce del 22/02/2022. Ma si può ricordare che il principio che l’affittuario ha diritto a un compenso per le migliorie attuate alla scadenza del contratto è presente in quasi tutte le legislazioni, moderne e antiche. E’ un principio universale di diritto privato, che priva di qualsiasi giustificazione il “diritto di insistenza”.

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