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Cronache
"Così insegno ai detenuti a lavorare e li riabituo alla vita quotidiana"

"Così insegno ai detenuti a lavorare e li riabituo alla vita quotidiana"

“Noi garantiamo 200 ore di formazione professionale ai detenuti e li inseriamo nel mondo del lavoro quando ancora scontano la loro pena. Partiamo dalla provincia di Caserta ma siamo già arrivati fino a Città del Messico”. Raffaela Pignetti, presidente dell’Asi (Aree di Sviluppo Industriale, ovvero consorzi d’imprese) di Caserta racconta come si è arrivati all’accordo firmato da Infratel insieme al Ministero della Giustizia e al Dipartimento per la trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio. 

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Inutile far finta di niente: comunque la si pensi, il “dopo” per i detenuti rimane un enorme punto interrogativo: quale destino attende quelle persone che, una volta scontata la pena comminatagli, si riaffacciano nella società? Quanti sguardi carichi di diffidenza, quanto sospetto, quanta preoccupazione nell’assegnare a qualcuno che ha sbagliato in passato la possibilità di svolgere un lavoro onesto. E poi, gli anni passati dietro alle sbarre rappresentano un brusco stop per la formazione professionale di persone che passano anni in una cella o in cortile e poi, improvvisamente, vengono catapultati nuovamente nella vita reale. In molti Paesi del mondo, quindi, si è scelto di affidare ai detenuti lavori di diverso tipo per garantire il loro reinserimento.

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“La nostra esperienza inizia cinque anni fa – ci spiega la Pignetti – e oggi siamo una vera e propria best practice che da Caserta è arrivata fino a Città del Messico. Avevamo cominciato impiegando i detenuti per svolgere lavori di manutenzione del verde e delle aree all’interno dell’Asi che presiedo. Abbiamo garantito in primis una formazione intramuraria, che permettesse ai detenuti di imparare un lavoro. Nello specifico, sapendo che non è che ci si può improvvisare installatori della fibra ottica, abbiamo trasferito soprattutto le competenze per i cosiddetti giuntisti”. 

Ma chi sono i detenuti che potranno beneficiare di questa misura? Prima di tutto non devono avere una pena residua superiore ai tre anni; il secondo paletto è che il condannato stesso accetti di essere inserito in un percorso di riabilitazione che esclude alcuni tipi di reato e si concentra su coloro che hanno commesso i cosiddetti crimini “comuni”. Ma, ovviamente, è poi il magistrato di sorveglianza a dover decidere chi e in che misura potrà beneficiare di questa modalità. Posare la fibra nella provincia di Caserta non è un impegno banale e servono persone motivate. 

“Dopo una prima fase di formazione – prosegue la Pignetti – ci sarà quella di inserimento nell’attività lavorativa vera e propria. Questa seconda parte del lavoro avverrà in collaborazione con operai esperti e con Its specifici che hanno già personale formato. Quanti saranno i detenuti che verranno ammessi? Posto che i numeri li stabilisce il Ministero della Giustizia, cominceremo a livello regionale. Il primo progetto prevede l’impiego di almeno 50 persone contestualmente. Per cablare la provincia di Caserta serviranno almeno 100 persone, affiancate da personale qualificato”. 

In questo modo si garantisce alle persone di apprendere una professione per il “dopo”, ma anche di avere uno scambio con lavoratori e con altre persone: li si aiuta a tornare a una normalità, a una vita quotidiana altrimenti dimenticata. “Da pochissimo – conclude la presidente dell’Asi Caserta Pignetti – abbiamo avviato i nostri progetti. Inizialmente c’è stata grande curiosità, ma siamo molto indietro rispetto a Messico e Stati Uniti. Abbiamo sperimentato anche un pizzico di diffidenza da parte degli imprenditori di Asi: siamo 4.000 imprese in un territorio di 4.000 ettari e il primo impatto è stato di guardare con perplessità a dei detenuti liberi nelle aree comuni che poi la sera dovevano tornare in cella. Poi però ci si è resi conto che l’area industriale era stata riqualificata dalle braccia di quelle persone che hanno sì commesso dei reati, ma che hanno voglia di ricominciare. E se prima mi davano della pazza, oggi le nostre “squadre” sono richieste a gran voce. Un esperimento pienamente riuscito”. 

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