Cronache
Emanuele Filiberto:"No alla politica delle poltrone. Candidarmi? Mai dire mai"
Parla ad Affaritaliani il principe classe '72 membro di casa Savoia, nipote dell'ultimo Re d'Italia, Umberto II
Il principe Emanuele Filiberto, classe ’72, è membro di casa Savoia, unico figlio di Vittorio Emanuele e Marina Doria e nipote dell’ultimo Re d’Italia, Umberto II. Sposato il 25 settembre 2003 a Roma, presso la basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martini con l’attrice francese Clotilde Courau, è padre di due figlie; Vittoria e Luisa. Dall’inverno del 2002, esauriti gli effetti dei commi (1 e 2) della legge che vietava l’entrata ai discendenti del casato Reale in Italia, Emanuele, a trent’anni, con non poca emozione, fa il suo primo ingresso in Patria. Imprenditore nel settore della moda e del food, filantropo, si è spesso cimentato in perfomance televisive che lo hanno fatto conoscere (in un’altra veste) al grande pubblico italiano; tra queste sicuramente “Ballando con le Stelle” di Milly Carlucci, aggiudicandosi il primo posto in coppia con Natalia Titova. Di recente si è tornato a parlare di lui per la lettera scritta e indirizzata (suscitando non poche polemiche) alla Comunità Ebraica Italiana nella quale “chiede perdono a nome di tutta la famiglia” per le leggi razziali firmate dal bisnonno Vittorio Emanuele III. In questa piacevole chiacchierata abbiamo affrontato alcuni temi che ruotano attorno alla vita di Emanuele Filiberto; la famiglia, i genitori, il lavoro, la pandemia, la politica e – ovviamente – la vicenda molto dibattuta della missiva di qualche giorno fa.
D. Principe di Piemonte, Principe di Venezia. La questione del titolo è ancora ferma? In Italia la legge non lo consente e in più c’è la diaspora con l’altra casa Savoia. A che punto è?
Piccole beghe alle quali, con tutta sincerità, non ho dato mai tanta attenzione o importanza. Ovviamente per la Repubblica Italiana i titoli non esistono, non sono riconosciuti per legge. Con l’altra parte di casa Savoia c’è il fatto che il ramo cadetto degli Aosta non esiste. Il figlio del Re è mio padre, il nipote del Re sono io e non c’è mai stato nessuno scritto, niente, da parte di mio nonno in cui si evince la volontà di togliere mio padre dalla successione. L’unico rappresentante/erede di casa Savoia è mio padre.
D. E’ stata dura essere figlio unico?
Devo dire che non mi è mai mancato l’amore dei miei genitori. Sono cresciuto in un ambiente molto protettivo, ma anche estremamente bello. Non l’ho mai trovata dura perché sono stato circondato da amici e persone della mia stessa età. Sono andato a scuola in Svizzera, poi in collegio. Mi sono fatto il mio “piccolo” mondo intorno. C’è stata molta libertà da parte dei miei. Io ho sempre avuto uno splendido rapporto con loro. Con mio padre parliamo di frequente, così come con mia madre. Debbo dire che c’è una profonda fiducia reciproca, un prolifico dialogo e anche una grande libertà.
D. Ci spiega questa amicizia della sua famiglia con lo Scià di Persia? I suoi due nomi Reza e Ciro provengono da questa affinità?
Lo Sha di Persia è stato un genitore per mio padre, quello che non ha mai avuto. Una persona che l’ha preso sotto la sua ala protettiva. Mio padre, da giovane, è partito dall’Italia, è rimasto un po’ di tempo in Portogallo, ma poi, con sua madre, si è stabilizzato in Svizzera. Ha avuto sempre questa mancanza di una figura paterna. Lo Sha è stato quello nei suoi confronti. Che dire. Una straordinaria amicizia, talmente forte e profonda che ogni volta che mio padre parla dello Sha si commuove. Gli ha dato anche l’opportunità di poter lavorare rappresentando nel suo paese le industrie italiane. Io ero piccolo, ho dei vaghi ma piacevoli flash. Lui è morto nel 1980, avevo 8 anni. Tuttavia mi ricordi di lui a Saint Moritz in Svizzera poi, naturalmente, le tantissime foto che abbiamo a casa con mio padre e mia padre che, non a caso, si sono sposati proprio con rito religioso in Iran.
D. Molti vorrebbero sapere (o perlomeno sono curiosi di sapere) di che cosa si occupa e quali sono le sue attività imprenditoriali.
In questo periodo sono molto concentrato su un bel progetto nel “Food” che parte da un primo ristorante in America di pasta fresca e di una specie di ristorazione rapida di buon cibo italiano. Ho voluto un po’ replicare i nostri Bar italiani, dunque facciamo pasta fresca, pizza al taglio, arancine e cibi vari. Tutto questo parte da una rete di Food Trucks che ho messo in piedi quattro anni orsono negli Stati Uniti. Adesso ho creato il primo ristorante e stiamo partendo con un processo di licenze, verso metà anno, per aprirne una cinquantina in tutto il Nord America. Dunque, come potrà capire, è un grosso sviluppo di franchising. Poi ho sempre il mio marchio di moda e mi occupo tantissimo, ormai, degli Ordini Dinastici di casa Savoia, ma questo non è da imprenditore, è più da filantropo. Gli “Ordini Dinastici” è una grande rete dove l’obbiettivo principale è fare beneficenza. Siamo in tutte le regioni d’Italia con dei progetti ben concreti e in diciassette Paesi all’estero, dalle “Americhe” al Giappone. Sono molto contento perché riusciamo veramente a dare degli aiuti concreti in quasi cinque parti del mondo.
D. Emanuele Filiberto, si ritiene un marito e un padre felice? Premuroso o “libertino” con le sue figlie?
Io sono una persona che lascia molta libertà. Spero di dare dei buoni consigli, a volte (come tutti) cerco di mettere dei pilastri sia a destra che a sinistra, perché i giovani ne hanno bisogno, ma in linea di massima mi piace poterli lasciare liberi e avere fiducia in loro. Ho due figlie, due ragazze straordinarie, studiose e molto educate. Vittoria quest’anno finirà la scuola e intende iscriversi alla Bocconi. Luisa ha ancora tre anni, piccolina. Non posso negare che sono molto orgoglioso e fiero di loro.
D. Ha dei bei ricordi del suo matrimonio in Italia? Ci vuol raccontare qualcosa di quella giornata?
Si potrebbe riassumere come il “ricordo di una giornata meravigliosa”. Meraviglioso anche il simbolo, perché fu la prima volta dopo tanti anni che un Savoia si sposava a Roma. Doppia felicità, per mia moglie e per la mia Italia. Difficile, quasi impossibile, riportare su carta o a voce certe emozioni.
D. “Casa Savoia, storia di una Famiglia italiana”. La mostra a Cortina. Le ha dato molte soddisfazioni? C’è stato interesse da parte dei visitatori?
Si, è andata benissimo. Dopo Cortina ha girato un po’, è andata anche a Torino e a Milano. Era una mostra di cimeli, diciamo, nostri, privati, che ha avuto un bel successo di pubblico.
D. Dove e come ha vissuto questo ultimo anno di pandemia?
Guardi, ci tengo a precisare che l’ho vissuta in prima persona. Ho anche perso degli amici. Un dolore immenso. Una cosa molto grave che va presa sul serio. Ho cercato di viverla facendo molta attenzione; ero in montagna in Svizzera durante il lockdown di Marzo, siamo rimasti chiusi in casa, come tutti d’altronde. Il vantaggio era la presenza di un vasto parco, quindi si poteva uscire. Eravamo, dunque, fortunati rispetto a molte persone rimaste bloccate in casa che hanno sofferto veramente della chiusura. Però è altrettanto vero che c’è una situazione molto allarmante a livello economico, da non sottovalutare. Io che sono nel mondo della ristorazione so cosa significa. Non posso che preoccuparmi e pensare a chi ha dovuto chiudere definitivamente i ristoranti o a chi non ha avuto gli aiuti. Perché è normale che ci sia stato il lockdown, ci doveva essere, anche adesso in tutta Europa lo stanno rimettendo, però fare un lockdown per salvare delle vite non vuol dire non aiutare l’economia e distruggerne altre. Io dico “Si Lockdown”, ma con aiuti forti e consistenti a tutti gli imprenditori. Il nostro Recovery Plan è una cosa importante, ma non ce lo abbiamo ancora perché non abbiamo potuto fornire un piano abbastanza dettagliato su come verranno spesi questi denari. Credo che l’Italia non abbia gestito in maniera impeccabile la parte degli aiuti. Mi rincuora dirlo, ma è quello che penso.
D. Tra le tante trasmissioni nelle quali ha partecipato ce n’è una in particolare che le sta più a cuore? “Ballando” di Milly Carlucci, l’Isola dei Famosi, Sanremo di Pupo o altro?
Sono esperienze. Ho deciso, tornando in Italia, di aderire al progetto di “Ballando con le Stelle” per potermi presentare agli Italiani. Dopo trentadue anni di esilio, tante cose erano state scritte sul mio conto, molte non giuste. Mi sono detto che il miglior modo di presentarmi agli italiani era il sabato sera davanti a sei o sette milioni di spettatori. Devo dire che mi sono lasciato prendere dal gioco e ho fatto un po’ troppe trasmissioni, a mio gusto, e non tutte fantastiche, ma sono pur sempre esperienze di vita. Sono felice, ho incontrato persone veramente gentili, che sono ancora amici, come Pupo, Milly, Maria De Filippi. Adesso ho voltato pagina.
D. Politica Italiana. Cosa nel pensa?
L’Italia era già in recessione prima della pandemia. Il Covid-19 non ha fatto altro che staccare la spina. Purtroppo non abbiamo avuto un governo molto reattivo su questo. Lo si è visto e lo si vede oggi e, soprattutto, lo si vedrà durante i prossimi cinque anni, perché l’Italia sta soffrendo e soffrirà. Peccato vedere una Nazione, un paese così bello, così importante con dei grandi imprenditori che - poco a poco - si è ritrovato ad essere fanalino di coda in Europa. Non contiamo più nulla e questo, purtroppo, è accaduto perché tanti governi che si sono susseguiti hanno dato prova di non avere una vera e propria politica seria per il cittadino. Il fatto di non contare a Bruxelles rattrista molto. La debolezza si è notata anche da quest’ultima crisi di governo che - in un momento così delicato – l’Italia non meritava. Una follia totale. Quello che ha fatto Renzi, a mio avviso, è una immensa pazzia, proprio ora che ci voleva unione nazionale, per provare a trovare soluzioni concrete per l’Italia e non sfasciare. La politica non è “cercare poltrone”, la politica è preoccuparsi del cittadino. Io vedo una mancata preparazione da parte dei politici. E’ la storia che, purtroppo, si ripete. Abbiamo avuto quasi ottanta governi in ottant’anni di Repubblica. Come può un paese andare avanti così.
D. “Realtà Italia”. Movimento culturale da lei fondato. Pensa di presentarsi in un’eventuale prossima elezione, se mai ci sarà a breve?
E’ un movimento culturale fondato quando, quest’estate, ho voluto organizzare dei webinar su dei temi importanti per l’Italia che possono essere l’economia, il turismo, la cultura. Argomenti che dovevano essere affrontati durante questa pandemia. Ho creato “Realtà Italia”, come veicolo per questi webinar. Il presentarmi al momento non è tra le mie priorità, non ci sto pensando. Io credo che per far politica bisogna essere utili all’Italia. Se un domani mi renderò conto di avere qualcosa di più da proporre degli altri forse entrerò in politica. Per il momento la sto guardando e mi faccio la mia personale politica ogni giorno con i miei Ordini Dinastici aiutando concretamente le persone. La politica è una cosa nobile, non quella delle poltrone. E quindi un mio impegno attivo al momento è da escludere, anche se, è solerte dire che nella vita mai dire mai e non si chiude nessuna porta.
D. Andiamo alla tanto citata lettera alla Comunità Ebraica. A quanto pare non sembra sia stata presa benissimo. Lei parla di “Un’ombra indelebile per la mia famiglia”. Autocritica forte, pur consapevoli che le colpe dei padri non dovrebbero mai ricadere sui figli (figuriamoci quelle dei nonni o dei bisnonni). C’è chi ancora non perdona, ma soprattutto non ha gradito il suo atto di coraggio, o forse non ha capito il suo gesto di perdono.
E’ stato capito! Eccome se è stato capito, ma l’Italia è il paese delle polemiche, sopratutto quando un Savoia fa qualcosa. La mia lettera è un grido d’amore, una volontà di esprimere un sentimento e di parlare della storia. L’ho fatto veramente senza aspettarmi niente indietro. Non volevo nulla. Chi ha risposto, come le Comunità Ebraiche, hanno voluto mettere del loro e, forse, a mio avviso, hanno anche un po’ esagerato nella risposta dicendo “è tardiva” etc. etc.
Il mio è stato un atto sincero e sono molto felice di averlo fatto, così come di aver potuto esprimere il mio sentimento in questa brutta vicenda. Però le devo assicurare che le reazioni, a parte qualcuna in Italia, sono tutte state, nel mondo internazionale, eccezionali. Stamattina ho fatto una bellissima intervista su una televisione israeliana, dove hanno ribadito l’importanza della lettera, così come sono giunti apprezzamenti anche da molte persone in Italia, di destra, di sinistra e persino repubblicani. Ma è normale che qualcuno dica la sua. Nessun problema, accetto tutto. La lettera non l’ho fatta per loro, l’ho fatta, in un modo - se vogliamo - egoistico, per me, perché dovevo “spiegarmi”. Forse non hanno capito o non hanno voluto capire. Il parlare delle responsabilità delle leggi razziali è fondamentale per poter guardare avanti senza dimenticare il passato, per poter costruire un mondo più giusto, come lo vorremmo. Oggi, sempre di più, ci sono degli atti di razzismo o di antisemitismo e credo sia assai rilevante poterne disquisire. L’ho fatto anche e soprattutto per le giovani generazioni, in memoria di quelli che non ci sono più; poi, tutto il resto, le posso garantire non mi interessa. Ho ricevuto migliaia di messaggi di congratulazioni e poi, sa, ognuno deve dire la sua. Non capiscono il gesto nobile, ma forse perché non sono stati abituati a un gesto nobile dove non ci si aspetta niente in controparte; sono tutti abituati, dopo una cosa così, ad una richiesta. Io non chiedo niente. Ho fatto una lettera, che piaccia o no, a me non importa. L’ho fatta perché sentivo di farla e perché volevo prendermi le mie responsabilità. Con assoluta sincerità penso che molti come me dovrebbero chiedere scusa, perché è vero che il Re ha avuto la responsabilità di questo tragico evento, ma la colpa è anche di tutti coloro i quali votarono quasi all’unanimità quelle infauste leggi.