Cronache

Il muro che separa l'Islam dall'Occidente

Di Gianni Pardo


Una persona istruita è migliore di una persona ignorante. Una persona colta vale più di una persona che sa poco o niente. Si potrebbe continuare con questo genere di affermazioni perché nella maggior parte dei casi rappresentano ovvietà. E tuttavia il miglioramento dipende da ciò che si è appreso.

Si potrebbe pensare che il primitivo non sappia niente, ma sarebbe un errore. Il cervello del selvaggio della Papuasia non è diverso dal nostro. Il fatto di vivere in una società priva di sviluppo tecnologico non rende la vita più facile, la rende più difficile. E dunque, per la concretezza, il cervello è necessario farlo funzionare eccome. Bisogna imparare dove si può trovare l’acqua, quali piante sono buone da mangiare e quali sono velenose, come cacciare i diversi animali e tutto un bagaglio culturale che manca all’uomo civile. Abbandonati nelle stesse condizioni ambientali, probabilmente non riusciremmo a sopravvivere.

Purtroppo, il selvaggio dispone anche di tutto un bagaglio di credenze, tabù, obblighi e divieti che a noi possono anche sembrare assurdi. Potremmo dunque parlare di strutture – la tecnica per sopravvivere – e di sovrastrutture, tutte le idee che vanno oltre quella tecnica. Sembrerebbe ovvio che, con l’arrivo della civiltà e della cultura, il selvaggio si sbarazzi presto dei suoi errori, ma non soltanto non sempre è così (si pensi alla persistenza della macumba in certe comunità) ma spesso il “selvaggio” assorbe le convinzioni dell’uomo “civile”. Se quest’ultimo non crede alle mitologie fantastiche del primitivo, non per questo non crede ad altre mitologie fantastiche: il guadagno è ben limitato. Nei Paesi sviluppati la tecnica produttiva sarà migliore, la vita sarà più comoda, ma il mondo mentale dei cittadini non raggiunge per questo livelli molto superiori a quelli dei primitivi.

Lo stesso linguaggio confessa che la scuola non cerca di sradicare i pregiudizi. La parola istruzione non allude ad un affinamento delle conoscenze, ci parla di quantità, di indottrinamento, di un’aggiunta a ciò che già c’è. “Instruere” significa infatti “costruirci sopra”. L’uomo colto non è più libero dai condizionamenti di quanto non lo sia il primitivo, la maggior parte delle volte è un portatore raffinato di tutte le convinzioni della sua comunità. Inoltre, pur essendo in possesso degli strumenti razionali di un mondo scientificamente sviluppato, rimane spesso religioso, e l’essere religioso rappresenta una sovrastruttura razionalmente infondata quanto i tabù del primitivo.

Quest’ultima affermazione abbisogna di precisazioni. Dal momento che sono diverse nei diversi luoghi, non si può pretendere che le religioni forniscano verità obiettive. Ai greci, per spiegare le stagioni, bastavano le avventure amorose di Plutone e Proserpina, ma questa non era la spiegazione degli altri popoli. È per questo che le religioni sono state definite “razionalmente infondate”. Né basta che esse siano all’occasione rivestite di teologia e filosofia. Infatti, se queste fossero convincenti, si imporrebbero in ogni parte del mondo, come fa la scienza. E invece è soltanto l’inclinazione dell’asse terrestre quella che convince l’uomo razionale, dovunque abiti.

Mentre per quanto riguarda la conoscenza della realtà materiale, l’accumulazione di conoscenze è notevole, soprattutto dalla fine del Seicento in poi, e molto rimane ancora da conquistare, per quanto riguarda il resto, il lavoro da fare è un enorme sforzo di decostruzione. Se nel proprio gruppo è ritenuto decente e necessario che un uomo sposi una vergine, lo sforzo del singolo non dovrà essere quello di conoscere questa costumanza nei minimi particolari (ecco l’istruzione) ma quello di comprendere che la costumanza del suo gruppo non è universale. E dunque che, prima ancora che giusta o sbagliata, essa è “locale” e convenzionale. Sia detto di passaggio, la grande difficoltà di integrazione dei musulmani in Europa dipende dal fatto che il loro mondo mentale contiene molte evidenze che gli interessati reputano inconcusse verità, mentre non sono tali per gli altri. Sicché fra le diverse comunità si erge un invalicabile muro d’incomprensione.

La vera libertà intellettuale si raggiunge con la condizione di apolide mentale. Che a Stoccolma in inverno sia necessario coprirsi bene è vero, ma che anche in una casa ben riscaldata le donne debbano coprirsi il seno no. Le regole della morale possono essere sinceramente approvate oppure seguite semplicemente per quieto vivere, ma ciò che è essenziale è che siano messe in discussione. Per accettarla, non basta che un’idea sia creduta vera e doverosa  da tutti. Questa decostruzione, che la scuola non insegna, è uno dei massimi sforzi che deve compiere il singolo. La società gli dà l’“istruzione”, lui deve darsi la “decostruzione”, comparando le verità correnti con i dati che gli vengono dall’esperienza, dalla geografia e dalla storia. Fino a giungere all’osso della realtà.

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