Cronache
Il Papa e il rito del Venerdì Santo: la Via Crucis arriva dal carcere
Le meditazioni del rito del Venerdì Santo scritte da 14 fra detenuti, familiari, vittime, magistrati, agenti, sacerdoti e volontari che lavorano nelle carceri
Le meditazioni del rito del Venerdì Santo scritte da 14 fra detenuti, familiari, vittime, magistrati, agenti, sacerdoti e volontari che ruotano attorno al carcere “Due Palazzi” di Padova.
Racconti vivi, in prima persona, che rendono attuale la Passione di Cristo. Francesco: “Grazie per aver condiviso la vostra storia”.
Le meditazioni della Via Crucis quest’anno sono proposte dalla cappellania della Casa di Reclusione “Due Palazzi” di Padova, come si legge nell'articolo di Redattore Sociale. Raccogliendo l’invito di Papa Francesco, quattordici persone hanno meditato sulla Passione di Nostro Signore Gesù Cristo rendendola attuale nelle loro esistenze. Tra loro figurano cinque persone detenute, una famiglia vittima per un reato di omicidio, la figlia di un uomo condannato alla pena dell’ergastolo, un’educatrice del carcere, un magistrato di sorveglianza, la madre di una persona detenuta, una catechista, un frate volontario, un agente di Polizia Penitenziaria e un sacerdote accusato e poi assolto definitivamente dalla giustizia dopo otto anni di processo ordinario.
Ci sono cinque persone detenute, una delle quali condannata all'ergastolo. Ci sono due genitori ai quali è stata uccisa una figlia, c'è la mamma di un detenuto, c'è la figlia di un uomo condannato all'ergastolo. Con loro, un'educatrice del carcere, un magistrato di sorveglianza, un frate volontario, un agente di Polizia penitenziaria, una catechista della parrocchia, un sacerdote accusato e poi assolto definitivamente dalla giustizia dopo otto anni di processo ordinario. Sono quattordici persone, come quattordici sono le stazioni della Via Crucis, il rito che papa Francesco vivrà questa sera, nel giorno del Venerdì Santo, non nella tradizionale e affollata cornice del Colosseo, ma sul sagrato della Basilica di San Pietro, con la piazza ancora una volta chiusa e vuota come disposto dalle norme per il contenimento dell'emergenza sanitaria Covid-19. Raccogliendo l’invito di Papa Francesco, queste quattordici persone hanno meditato sulla Passione di Cristo, rendendola attuale nelle loro esistenze. Le loro meditazioni accompagneranno la riflessione.
“Voglio ringraziarvi per aver condiviso con me un pezzo della vostra storia: nella Via Crucis presterete la vostra storia a tutti coloro che nel mondo condividono la medesima situazione", ha scritto il papa questa mattina in una lettera inviata a don Marco Pozza, cappellano della Casa di Reclusione “Due Palazzi” di Padova, che insieme alla volontaria Tatiana Mario hanno raccolto i vari testi, scritti in prima persona dalle 14 persone che animeranno il rito con le loro meditazioni. Storie, scrive papa Francesco, “nella quale abitano non solo le persone detenute, ma tutti coloro che si appassionano al mondo del carcere. Ho letto le meditazioni e mi sono sentito accolto, a casa”, scrive Francesco. “Grazie, vi porto sempre nel mio cuore”.
Le 14 meditazioni parlano di dolore, di male, di sconforto, di abbandono, di attenzione, di riscatto, di buio e di luce. Riflessioni personali e dunque potenti, capaci di scavare e incidere. Dal percorso di Cristo che sale verso il Calvario e la Croce, risuonano potenti le testimonianze di oggi, che dal carcere giungeranno a milioni di persone in tutto il mondo. C’è la storia di chi sente rivolto a se stesso il grido “Crocifiggilo!”: “È un grido che ho sentito anche su di me: sono stato condannato, assieme a mio padre, alla pena dell’ergastolo. La mia crocifissione è iniziata quando ero bambino. Ho iniziato a lavorare quando ero piccolo, senza poter studiare: l’ignoranza ha avuto la meglio sulla mia ingenuità”. C’è la storia di chi è stato vittima “del peggiore dolore che esista: sopravvivere alla morte di una figlia. La nostra è stata una vita di sacrifici, fondata sul lavoro e sulla famiglia. Abbiamo insegnato ai nostri figli il rispetto per l’altro e il valore del servizio verso chi è più povero. Spesso ci chiediamo: ‘Perché proprio a noi questo male che ci ha travolto?’. Non troviamo pace. Neppure la giustizia, in cui abbiamo sempre creduto, è stata in grado di lenire le ferite più profonde: la nostra condanna alla sofferenza resterà fino alla fine”.
C’è la testimonianza di una mamma, “nemmeno per un istante ho provato la tentazione di abbandonare mio figlio di fronte alla sua condanna. Il giorno dell’arresto tutta la nostra vita è cambiata: l’intera famiglia è entrata in prigione con lui. Ancora oggi il giudizio della gente non si placa, è una lama affilata: le dita puntate contro tutti noi appesantiscono la sofferenza che già portiamo nel cuore”. E c’è la meditazione di una figlia: “Avete mai pensato che di tutte le vittime delle azioni di mio padre io sono stata la prima? Da ventotto anni sto scontando la pena di crescere senza padre. A casa nostra è tutta una via crucis: papà è uno di quelli condannati all’ergastolo. Il giorno che mi sono sposata, sognavo di averlo accanto a me. È vero: ci sono genitori che, per amore, imparano ad aspettare che i figli maturino. A me, per amore, capita di aspettare il ritorno di papà”.
Conforto e luce, oltre a dolore e sofferenza: “Dentro le carceri Simone di Cirene lo conoscono tutti: è il secondo nome dei volontari, di chi sale questo calvario per aiutare a portare una croce; è gente che rifiuta la legge del branco mettendosi in ascolto della coscienza”. O ancora: “Solo oggi riesco ad ammetterlo: in quegli anni non sapevo quello che facevo. Adesso che lo so, con l’aiuto di Dio, sto cercando di ricostruire la mia vita. Lo devo ai miei genitori: anni fa hanno messo all’asta le nostre cose più care perché non volevano che facessi vita di strada. Lo devo soprattutto a me: l’idea che il male continui a comandare la mia vita è insopportabile. È diventata questa la mia via crucis”. Un altro punto di vista ancora: “In quella non-vita ho sempre cercato un qualcosa che fosse vita: è strano a dirsi, ma il carcere è stato la mia salvezza. Se per qualcuno sono ancora Barabba, non mi arrabbio: avverto, nel cuore, che quell’Uomo innocente, condannato come me, è venuto a cercarmi in carcere per educarmi alla vita”.