Cronache
La Via della Seta in bicicletta: da Venezia a Pechino in soli 100 giorni, la grande impresa di un ciclista 63enne
Le guerre, l'omaggio a Marco Polo e un viaggio interrotto 23 anni prima. Alberto Fiorin e Dino Facchinetti, ciclisti della spedizione Marco Polo a pedali, hanno raggiunto Pechino dopo 10.300 km, attraversando 13 Paesi
In bicicletta da Venezia a Pechino: il tributo di due ciclisti veneti a Marco Polo
"È viaggiando lentamente che conosci un Paese". Questa, forse, è la lezione più profonda che Alberto Fiorin, scrittore veneziano di 63 anni, ha tratto dalla sua avventura in Cina: 10.300 chilometri e 100 giorni di viaggio sul sellino di una bicicletta con vista sulla Via della Seta. Un sogno tenuto stretto per anni e rimasto irrealizzato per via di una caduta, avvenuta 23 anni prima a soli 20 chilometri da casa, che lo costrinse a rimandare quell’ambizioso progetto di seguire le orme di Marco Polo fino in Cina.
"Quel viaggio non l'avevo realizzato, ma non era mai diventato un'ossessione, né ci avevo più pensato", racconta Fiorin ad Affaritaliani.it. "Nel frattempo, però, erano passati molti anni, la carta d’identità si era ingiallita, e con essa anche la speranza di portare a termine quell'impresa." Sette secoli dalla spedizione che portò Marco Polo dall'Europa all'Oriente, un viaggio che ha ridisegnato la storia dei viaggiatori europei a venire. E così, per celebrare i settecento anni dalla sua morte, Fiorin, accompagnato dall’amico Dino Facchinetti, pensionato 67enne, ha deciso di rendere omaggio allo storico concittadino con un’avventura lungo il suo stesso cammino.
"È scattata un scintilla in me: 'Ora o mai più mi sono detto'," ricorda Alberto. "Siamo partiti da Venezia il 25 aprile e siamo arrivati a Pechino il 1 agosto, attraversando 13 nazioni: Italia, Slovenia, Croazia, Serbia, Bulgaria, Turchia, Georgia, Azerbaijan, Turkmenistan, Uzbekistan, Kazakistan, Kirghizistan, e infine la Cina, dove abbiamo percorso 4.350 chilometri in 40 giorni." Ben 125 km al giorno per quasi tre mesi e mezzo, un viaggio diverso da quello programmato nel 2001, quando Alberto era partito con dieci persone e un mezzo al seguito. "Abbiamo scelto di viaggiare in totale autonomia" - spiega - "portandoci dietro tutti i bagagli, per rispettare l’ambiente, senza un mezzo a benzina, usando solo l'energia dei nostri muscoli. È stata un’avventura lunga e tutt’altro che semplice, soprattutto nel trovare un percorso sicuro, lontano dalle aree di conflitto."
Perché, tra le molte difficoltà, la più grande è stata proprio evitare i territori colpiti dalle guerre. Ma non erano soli. “Abbiamo dovuto fare incontri istituzionali, entrare nelle ambasciate italiane, e il Ministero degli Esteri ci ha davvero dato una mano. Alcuni confini non erano affatto semplici da attraversare. Prendi l’Azerbaijan: frontiere chiuse dal 2020, si passa solo per via aerea. Ma con l’appoggio del ministero, che ha riconosciuto il valore della nostra spedizione, abbiamo avuto il permesso di entrare via terra,” racconta Fiorin, che è anche presidente della società ciclistica Pedale Veneziano 1913.
Per Alberto, però, il vero ponte con il mondo è stata la bici: una lente d’ingrandimento sui volti, sui luoghi, sulle storie. “Ti fa capire le persone in modo profondo,” dice, “te le fa vivere davvero.” E così la sua bici, fragile eppure implacabile, l'ha portato fino a Pechino, attraversando i Balcani, l’Asia centrale, i deserti della Cina. “E non è roba da supereroi: se ce l’abbiamo fatta noi, un 64enne e un 67enne, può farcela chiunque. Non è questione di muscoli, è una questione di testa.” Le difficoltà? “Certo che ci sono state: chilometri di terreno deserto e temperature infernali, come i 42° in Turkmenistan dove abbiamo dovuto pedalare di notte, o nella Depressione di Turfan. Ma l’aspetto fisico non è la parte più decisiva, quello mentale è tutto. Tenere ben presente l'obiettivo e rimanere concentrati. Quando siamo arrivati in Cina ci siamo detti, abbracciandoci: ‘Ci mancano SOLO 4.350 chilometri.’"
Non contava solo la meta, ma ogni incontro, ogni gesto lungo la strada. Per Alberto, l’umanità che ha trovato in quel viaggio è stata il vero tesoro: persone che li accoglievano, offrendogli aiuto anche solo con un cenno. “Quando ti muovi così, senza schermi, scopri che il mondo è meglio di quanto venga dipinto. Chiuso nell'abitacolo di una macchina non lo capisci, ma quando sei sulla bici la gente intuisce che hai bisogno di acqua, di un riparo, e te li offre, anche senza parlare la tua lingua.” Per lui, un viaggio lento, che ti sporca le mani, vale molto di più, “non scegli tu cosa vedere, passi anche per strade sporche". Luoghi che in una guida non ci finiranno mai. "Eppure, è questo che ti fa capire davvero un posto", racconta.
E poi Pechino, il ponte di Marco Polo, la foto sotto il monumento a lui dedicato. “Arrivare è stata un’emozione forte. Gli ultimi giorni la stanchezza si sentiva tutta, soprattutto nella testa,” ricorda Alberto, raccontando quella gioia amara di un traguardo rincorso per oltre 20 anni. “Era una rivincita, una promessa che mi ero fatto. E ce l’abbiamo fatta: volevamo, senza presunzione, riscrivere un racconto del terzo millenio” In Cina, una sorpresa: un Paese trasformato, dove si pedala sempre meno e i mezzi sulle due ruote sono stati soppiantati da veicoli elettrici, “Trent’anni fa c'erano fiumi di biciclette, ora tutto è cambiato,” osserva, sorpreso e ammirato. Oggi, Fiorin e Facchinetti sono i testimoni viventi di una strada, un mondo che ha il suo fascino proprio nella sua incompletezza: "Abbiamo visto luoghi che ti restano impressi nella retina anche per i loro difetti, il lato b della medaglia. Per vedere la cosa bella devi vedere anche il brutto."