Cronache
Omicidio Napoli, la pistola trovata per strada. Gente stufa: "Situazione fuori controllo, serve l'esercito"
L’inchiesta sul colpo fatale al cugino. Ma i pm e gli investigatori non credono alla ricostruzione fatta dal 19enne
Omicidio Napoli, la pistola trovata e i colpi mortali. I pm non credono a questa versione
Ennesimo omicidio a Napoli, ancora una volta coinvolti ragazzini che maneggiano armi, evidentemente troppo facili da trovare, stando alla ricostruzione dei fatti dell'ultimo caso, il terzo nel giro di due settimane. La gente è stufa e chiede che lo Stato agisca: "Intervenga l'esercito", gridano le persone per strada. La prima cosa che Renato Caiafa, 19 anni, ha fatto sabato mattina quando, poche ore dopo la morte del suo amico e cugino alla lontana Arcangelo Correra (18) si è presentato in questura, è stato - riporta Il Corriere della Sera - consegnare la pistola dalla quale era partito il colpo che aveva ucciso il ragazzo. Poi ha detto: "Che guaio che ho fatto". Ma il pubblico ministero sembra aver creduto solo in parte alla versione fornita dal ragazzo e ha disposto il fermo del diciannovenne con l’accusa di detenzione e ricettazione della pistola. Caiafa è indagato solo per omicidio colposo, il giovane è stato trasferito in carcere dopo la conferma del fermo.
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Durante le molte ore di interrogatorio ha raccontato di aver passato la serata di venerdì insieme con Correra e altri amici, tra i quali il diciassettenne che era presente al momento della tragedia. "Lì, poggiata sulla ruota di un’auto parcheggiata, ho visto la pistola", ha raccontato Caiafa. E l’avrebbe presa iniziando a maneggiarla. "Ma io - dice il ragazzo e lo riporta Il Corriere - non avevo mai visto e tantomeno toccato una pistola in vita mia . Non ho capito né che fosse vera né che fosse carica". Se ne sarebbe reso conto soltanto quando è partito il colpo e ha visto l’amico cadere e il sangue scorrergli sul viso. A questo punto lo ha caricato sul suo scooter e si è precipitato al Pronto soccorso, dove poi Arcangelo è morto.
Poi si sarebbe confidato con una zia, che avrebbe avuto un ruolo determinante nel fargli capire che l’unica cosa da fare a quel punto era andare in questura e raccontare tutto. E lui così ha fatto. "Sono dispiaciutissimo, noi eravamo cugini e anche molto amici", ha ripetuto più volte forzando il grado di parentela. "Non avrei mai voluto che accadesse tutto questo".