Cronache

Quella notte a Valdez, il nuovo romanzo di Cinzia Tani

Di Bernardo Oriali

Un thriller teso e documentato, dove l'autrice parla dell'evento del 1989 e dello sversamento di oltre quaranta litri di petrolio in mare

Il nuovo  romanzo Quella notte a Valdez di Cinzia Tani è un thriller tesissimo

Il nuovo romanzo di Cinzia Tani, Quella notte a Valdez (Vallecchi Firenze editore), un thriller tesissimo e molto documentato, non parla solo di quell'evento epocale del 1989 – lo sversamento di oltre quaranta litri di petrolio in mare per il danno alla Exxon Valdez -  ma di tutto ciò che lo ha preceduto che secondo l’autrice non andrebbe mai dimenticato. L'Alaska era un paese tranquillo prima della scoperta nel 1968 di immensi giacimenti di petrolio. Nel 1973, dopo la guerra dello Yom Kippur tra Israele e alcuni paesi arabi, i produttori di petrolio del Medio Oriente dichiararono un embargo che mise in ginocchio gli Stati Uniti. “Ricordiamo anche l'austerity nel nostro e in altri paesi. Il presidente   Nixon decise di autorizzare la costruzione di un lunghissimo oleodotto che andava dai giacimenti di petrolio del nord dell'Alaska fino a Valdez da dove sarebbero partite le petroliere. Questo provocò un drastico peggioramento della vita degli indigeni e della fauna locale. Inoltre gli stranieri arrivati a lavorare all'oleodotto, la Trans-Alaska Pipeline, portarono alcol, droga e malattie. 
Il disastro della Exxon Valdez è solo l'ultimo tassello di una decisione che ha cambiato la vita degli indigeni spiega Cinzia Tani, giornalista e scrittrice di lungo corso, nonché opinionista televisiva.  

Le responsabilità umane?

Il capitano della superpetroliera, che si incagliò nella scogliera dopo essere partita da Valdez, era ubriaco e lasciò il comando al terzo ufficiale. Questo mi ricorda  molto quello che è accaduto alla Costa Concordia. Ora più che mai questi eventi sono di grande attualità: il disastro ambientale, il potere del petrolio, la noncuranza verso la vita dei nativi di un paese. 

Come al solito è andata sui luoghi che racconta?

Ho fatto lunghi sopralluoghi in Alaska prima della pandemia. Ho comprato libri dei nativi che hanno commentato quello che accadde dalla scoperta del petrolio in poi, oltre a quelli scritti da esperti e politici.  Libri che si trovano solo lì. Ho anche parlato con molte persone, mi sono immersa nella meravigliosa cultura inuit e ho visto i paesaggi che volevo descrivere.  La flora e la fauna sono molto presenti nel libro oltre agli stili di ivita degli indigeni, la caccia e la pesca, la religione, le tradizioni, le credenze e superstizioni.

Cosa ha visto che credeva di non vedere?

Ho visto e mi hanno raccontato che l'effetto di quel disastro non è ancora finito. Alcune coste sono ancora inquinate. Ho visto l'impressionante gasdotto, uno dei più grandi al mondo (1.288 chilometri) contestato all'inizio perché impediva il passaggio degli animali, soprattutto i caribù,   ostacolando così la caccia dei nativi. Anche oggi ci sono molti problemi. Mi hanno spiegato che  lo scioglimento del permafrost  minaccia di minare i sostegni che sorreggono una sezione elevata dell'oleodotto aumentando il rischio di una fuoriuscita di petrolio. 

A parte questo, niente di bello?

Ho visto un Paese più bello di quanto avessi immaginato. Il paesaggio è sorprendente: i ghiacciai, i grandi parchi naturali, l'aurora boreale, le foreste, la tundra… E poi gli animali. Meraviglioso vedere balene e orsi da vicino. 

I personaggi del romanzo sembrano molto credibili, si è ispirata a qualcuno in particolare?

A parte i personaggi veri, come il capitano della Exxon Valdez, Joseph Hazelwood, il governatore dell'Alaska, Bill Egan, altri politici ed esperti che si occuparono del disastro,  gli altri sono totalmente inventati. Per raccontarli, però, mi sono ispirata ad alcune vite di petrolieri, ai protagonisti di certe serie televisive e di libri che parlano di ricchi e sfrontati ragazzi californiani, alle biografie di eccezionali donne e uomini alaskani. Anche per il sabotaggio che descrivo e per le manifestazioni mi sono ispirata a fatti  accaduti.

Qual è stata la parte più difficile del lavoro?

Inserire la fiction thriller in eventi reali. Ho dovuto far coincidere tutta la mia cronologia con quella degli eventi reali. Poiché di solito non scrivo thriller anche se nei miei romanzi il delitto c'è sempre, ho avuto difficoltà con certe fasi dell'omicidio di uno dei personaggi, Koko. Tracce di sangue, effetti di uno strozzamento e cose del genere. Ma mi sono rivolta a degli esperti. 

Lavora con più piacere a un romanzo, di pura fantasia, o a un libro documentale?

Di solito alterno un romanzo storico a un libro di biografie. In entrambi i casi il lavoro di ricerca è fondamentale. Per quanto riguarda i personaggi veri mi piace molto immergermi nella loro vita e scoprire cose che non sapevo. Per i romanzi c'è in più il piacere di costruire un intreccio, di immaginare la psicologia dei vari personaggi che invento.

In che modo vive la guerra in corso tra Russia e Ucraina una giornalista scrittrice come lei?

Umanamente sto malissimo. Mi immedesimo nella vita degli ucraini che hanno perso familiari, case, beni, che hanno visto la distruzione in villaggi e città. Penso alle donne e ai bambini costretti a lasciare tutto e tutti per rifugiarsi in altri paesi e soffro per loro.  Rifletto anche sulle conseguenze che avrà questa guerra per l'Ucraina e che continueranno a pesare sulle generazioni future ma anche sulle conseguenze per altri paesi.  Proprio per questo ho voluto fare uscire il libro adesso, perché per quanto riguarda lo sfacelo nella vita di un popolo a cui hanno portato decisioni politiche ed economiche e l'enorme potere del petrolio, ci sono molte attinenze. 

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