Regeni, la rabbia della madre: "Ci dicano chi e perché ha ucciso Giulio"
Rimbalzano voci importanti dal Cairo di una svolta nell'indagine egiziana
A giorni il procuratore generale egiziano, Nabeel Sadek, dovrà venire in Italia per raccontare ai genitori di Giulio Regeni cosa è successo al figlio. Dovrà spiegare loro chi lo ha torturato, chi lo ha ucciso, chi ha depistato nelle settimane e nei mesi successivi provando prima a infangare la storia di Giulio e poi uccidendo cinque innocenti cittadini egiziani, portando i documenti di Regeni a casa di uno di loro. "Non sappiamo ancora perché" dice Paola Deffendi, la madre di Giulio, ospite a Ferrara del festival della rivista Internazionale. "Come, purtroppo lo abbiamo capito. Ma io vorrei sapere perché, perché lui e perché qualcuno ha permesso una simile tortura; questo vorrei proprio saperlo".
Negli ultimi giorni rimbalzano voci importanti dal Cairo di una svolta nell'indagine egiziana. In molti si attendono che nell'incontro con la famiglia Regeni, chiesto dell'autorità egiziana, il procuratore possa consegnare i nomi dei responsabili. "Ma non ci accontenteremo di verità di comodo" hanno sempre ripetuto i genitori del ricercatore ucciso. "Non fosse altro per rispetto a nostro figlio. Giulio - continua la signora Paola, che ha incontrato anche Patrizia Moretti, la madre di Federico Aldrovandi - non era solo un ragazzo contemporaneo ma anche del futuro. Aveva sviluppato delle competenze empatico-relazionali - racconta - che si andavano ad aggiungere a tutte le altre che aveva maturato".
"Essere qui ci fa molto piacere - osserva Claudio Regeni - perché ci permette di far conoscere ancora meglio la storia di Giulio non soltanto in Italia ma anche all'estero. Giulio era un ragazzo contemporaneo e penso che la sua storia abbia toccato molte persone proprio per questo fatto; i giovani - aggiunge - si immedesimano in lui perché molti considerano tutto il mondo come il loro Paese, al di là dei confini nazionali. Giulio era molto interessato alle realtà che lo circondavano, voleva conoscere tradizioni e culture diverse". "Giulio - ricorda la signora Paola - cercava il dialogo, amava il confronto con le altre culture, non è stato capito. L'Egitto non era pronto e forse neanche l'Europa" dice la madre, che ha parlato anche del loro rapporto con la stampa.
"Ricordo con orrore i momenti che hanno preceduto i lanci di agenzia - continua -, sono 5 minuti che ti cambiano la vita e non si è mai pronti ad affrontarli. Dal 31 gennaio al 3 febbraio ho letto tutto quello che potevo su Giulio, è stato dipinto in modo non realistico, alcuni ritratti non corrispondevano a mio figlio e nei velocissimi rimbalzi della stampa mi domandavo se ci fosse anche umanità dietro la notizia. Quando ho chiesto aiuto non sempre mi è stato dato".
All'incontro partecipa anche l'avvocato della famiglia, Alessandra Ballerini, che punta il dito contro i depistaggi di questi mesi. "Depistaggi clamorosi, cialtroni e oltraggiosi - dice - non solo per la famiglia ma per l'Italia. Su Giulio il governo di Al Sisi ha detto di tutto: che era stato vittima di un incidente stradale, che era gay, e in Egitto gli omosessuali rischiano il carcere e la tortura, che era rissoso, drogato, minaccioso nei confronti della polizia, borioso. Persino che aveva troppi amici e dunque doveva necessariamente essere una spia: insomma, che se lo era andata a cercare".
"Però - aggiunge Ballerini - il corpo di Giulio parla e Giulio si difende da solo, anche da morto. Il corpo di Giulio così straziato ci dice che non si drogava e che è stato barbaramente torturato, troppo per una comune rapina, come ha tentato di far credere l'Egitto".