Cronache

Europee, nella campagna irrompono le toghe. Torna il "tintinnar di manette"

Lorenzo Lamperti e Alberto Maggi

Dal caso Siri alla sanità in Umbria, dalle tangenti in Lombardia agli appalti in Calabria: le inchieste giudiziarie irrompono nella campagna per le europee

Sono passati 27 anni, ma il suono è sempre quello. Un tintinnio di scalfariana memoria. D'altronde valigette e corruzione sembrano non passare mai di moda, in un panorama politico che continua a "regalare" (verbo paradossale, viste le circostanze) inchieste giudiziarie a ripetizione e pressoché bipartisan. 

Ancora una volta, come spesso accaduto in questo paese prova vivente della bontà della teoria dell'eterno ritorno di Friedrich Nietzsche, le indagini della giustizia si abbattono sui partiti. E lo fanno in un momento quantomai delicato, a due settimane e spiccioli dall'atteso appuntamento delle elezioni europee del 26 maggio che potrebbe non solo cambiare i rapporti di forza all'interno del parlamento europeo ma anche gli equilibri di un esecutivo M5s-Lega che in queste settimane litiga un giorno sì e l'altro pure.

Sono passati quasi tre decenni ma le sirene delle volanti delle forze dell'ordine sono ancora accese, le stampanti delle procure continuano a produrre carte d'accusa, le porte delle carceri continuano ad aprirsi. E i buoni propositi di lotta alla corruzione si ripetono nel tempo, così come le polemiche sul tempismo delle inchieste dei pm. Posta la presunzione di innocenza per tutti gli indagati e imputati, l'elenco delle indagini che riguardano più o meno direttamente i politici continua ad allungarsi nelle ultime settimane e nelle ultime ore.

Matteo Salvini, Luigi Di Maio, Nicola Zingaretti, Giorgia Meloni, Silvio Berlusconi. Certo. Ma anche Paolo Ielo, Mario Palazzi, Fabio De Pasquale, Francesco Greco, Nicola Gratteri. L'operato, ovviamente legittimo, sta rendendo i magistrati protagonisti o quantomeno a guest star più o meno consapevoli di una campagna elettorale pronta a entrare nel vivo. 

Le polemiche, quelle, sono già vive da tempo. E si concentrano in particolare intorno al nome di Armando Siri. Il sottosegretario della Lega è accusato di corruzione dai pm di Roma Paolo Ielo e Mario Palazzi. L'ipotesi dell'accusa è che il sottosegretario alle Infrastrutture abbia messo la sua funzione a disposizione dell'imprenditore Paolo Arata, considerato dai pm palermitani vicino a Vito Nicastri, ritenuto a sua volta in qualche modo legato al boss latitante di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro.

E un'altra inchiesta è stata aperta dalla procura di Milano, con un fascicolo senza indagati né ipotesi di reato assegnato a Fabio De Pasquale, a proposito di una palazzina con sette appartamenti che secondo Report sarebbe stata acquistata con dei soldi provenienti da un conto di San Marino lo scorso gennaio dallo stesso Siri a Bresso, paesino alle porte di Milano.

Siri continua a professarsi innocente e la Lega ha deciso di non scaricare il padre della flat tax, lasciando al premier Giuseppe Conte la responsabilità del siluramento. Ma non sarà questo, come ha più volte affermato il ministro dell'Interno, il caso che potrà mettere a rischio il governo, anche se sicuramente i rapporti all'interno della maggioranza si sono ulteriormente deteriorati.

Per restare alla Lega, c'è un altro caso giudiziario che preoccupa il Carroccio. Il 30 maggio dovrebbe arrivare la sentenza nei confronti del vice ministro delle Infrastrutture Edoardo Rixi, imputato a Genova per  peculato e falso ideologico nel processo sulle spese pazze alla Regione Liguria. 

Rixi, leader del Carroccio in Liguria, è considerato un big di Via Bellerio, molto vicino a Salvini. E in caso di condanna è ovvio che il M5s ne chiederebbe le dimissioni immediate portando così a un altro caso Siri, che potrbbe diventare ancora più pericoloso per la tenuta dell'esecutivo.

Sempre a Genova, i pm Paola Calleri e Francesco Pinto stanno indagando sui 49 milioni di euro spariti dalle casse del Carroccio, che sostiene siano stati spesi per la vita del partito. 

Partito che qualche settimana fa ha colto la palla al balzo alla notizia che il gip di Roma Costantino De Robbio ha chiesto ulteriori indagini su Virginia Raggi nell'inchiesta sul nuovo stadio della Roma nata da un esposto dello scorso giugno e per la quale i pm della Capitale avevano in realtà chiesto l'archiviazione. Richiesta respinta proprio nelle ore dell'esplosione del caso Siri. Sempre nella Capitale il presidente dell'assemblea, Marcello De Vito (M5s, poi espulso), a marzo è stato arrestato con l'accusa di corruzione in un'indagine sullo stadio della Roma.

Ma le ultime novità giudiziarie colpiscono anche i partiti di opposizione. Solo qualche settimana fa un'inchiesta sulla sanità in Umbria condotta dai pm di Perugia Mario Formisano e Paolo Abbritti che dovrebbe portare alle dimissioni della governatrice del Pd Catiuscia Marini. Un altro governatore del centrosinistra è finito nel mirino dei magistrati proprio nelle ultime ore. Si tratta di Mario Oliverio, accusato in materia di appalti di “associazione per delinquere con lo scopo di commettere una serie indeterminata di delitti contro la pubblica amministrazione", secondo quanto recita il capo di imputazione della procura di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri.

E' evidente l'imbarazzo del Pd e di Nicola Zingaretti. "Seguiamo con attenzione e rispetto il lavoro degli inquirenti calabresi e auspichiamo che si faccia piena luce su eventuali episodi di malaffare. Il Paese, tanto più in una fase di difficoltà economiche e di ristrettezze della finanza pubblica, non può tollerare episodi di cattiva gestione. Il Pd è e sarà sempre in prima linea contro ogni forma di opacità e mancato rispetto delle regole. Confidiamo che la politica calabrese sappia valutare con serietà ed equilibrio la forma migliore per garantire gli interessi della Calabria e la piena funzionalità delle amministrazioni", afferma Marina Sereni, responsabile Enti Locali nel Coordinamento del Pd.

E poi c'è Forza Italia, con l'indagine di grande portata della procura di Milano guidata da Francesco Greco e coordinata dal procuratore aggiunto e responsabile della Dda Alessandra Dolci e dai pm Silvia Bonardi, Adriano Scudieri e Luigi Furno. Il consigliere comunale di Milano Pietro Tatarella è finito in carcere mentre il sottosegretario della Regione Lombardia Fabio Altitonante è stato posto ai domiciliari in un'inchiesta che ha portato a 43 misure di custodia cautelare, di cui 12 in carcere, e alla formulazione di accuse per associazione mafiosa, abuso d’ufficio, finanziamento illecito ai partiti, corruzione per spartirsi appalti pubblici.

All'insegna del garantismo la risposta del partito di Silvio Berlusconi. "Il coordinamento regionale di Forza Italia Lombardia" ha "disposto la temporanea sospensione dalle cariche all'interno del Movimento" dei dirigenti raggiunti da provvedimenti cautelari per l'inchiesta di Milano. Lo scrive in una nota Mariastella Gelmini, presidente dei deputati di Forza Italia e coordinatrice regionale azzurra in Lombardia. Il partito ribadisce "la propria linea garantista e la convinzione che i propri dirigenti colpiti da provvedimenti cautelari potranno dimostrare l'estraneità ai fatti che vengono loro contestati". 

"Tangentopoli non è mai finita", ha detto nel tardo pomeriggio il vicepremier Luigi Di Maio. E non è finita neppure la campagna elettorale, con quel tintinnare di sottofondo.