Cronache

Terrorismo, viaggio nella mente di un kamikaze

Come accaduto dal lontano 11 settembre 2001, anche in questi drammatici giorni abbiamo sentito affermare che nulla sarà più come prima. Negli ultimi quattordici anni nulla è cambiato in merito a quell’affermazione, anzi si è gravata di significati disparati e sconfinati, in rapporto alla reattività di ciascuno, anzi conducendo ogni volta a due conclusioni, condivise dalla maggioranze delle persone. Per primo, il fatto che anche l’attentato di Parigi ha spalancato la porta ad un dolore unanime senza fine, vista l’incapacità di elaborare un lutto le cui origini sembrano al di fuori del campo della ragione. Per secondo, che l’attacco spregiudicato di questi terroristi, evidenzia che la nostra vita, attuale e futura, è a questo punto nella morsa dell’imponderabile. Il lutto e l’inimmaginabile che, caratterizzano questi giorni, assumono di seguito un significato maggiormente ansiogeno nel momento in cui riflettiamo sul modus operandi del terroristi, modalità che sembrano sfuggire a qualunque atteggiamento biologico di sopravvivenza.

Il kamikaze, a differenza del più terribile degli aggressori, non lascia al suo nemico limiti di difesa e di controllo, proprio perché non è regolato dall’istinto di conservazione. La violenza terroristica del kamikaze appare come un deterrente, o una vendetta, nei confronti di probabili attacchi che persone, gruppi, popoli, tribù o nazioni potrebbero arrecare alla propria gente. Prestando fede alla morte, il kamikaze segue senza rendersi conto una propria logica biologica, quella della sopravvivenza del proprio patrimonio genetico reputato in quel momento a rischio. Tutto questo non vuol dire che all’origine dei gesti dei kamikaze non possano essere presenti impulsi innati di violenza e/o aggressivi. Però un’analisi con un’ottica esclusiva nella direzione della violenza e dell’aggressività risulterebbe non conforme al reale. Come sostenevano nel 1989 Groebel e Hinde, guerre, lotte interetniche e conflitti razziali possono essere meglio compresi se considerati come il risultato di un insieme molto vario di spinte originate dalla selezione naturale. Tra queste spinte vi sono sicuramente quella aggressiva e violenta, bensì tale non è l’unica e si unisce con molte altre. In primo luogo, con due caratteristiche di base innata: in un verso, l’altruismo e la cooperazione a vantaggio dei membri della propria famiglia o del proprio gruppo di appartenenza e, dall’altro, il timore dell’estraneo. La tendenza alla paura degli estranei fa perdere il controllo, quindi, per mezzo del riconoscimento della diversità, la tendenza all’aggressività, originando effetti sinergici ingovernabili. Decisiva nella lotta all’estraneo e nel diffondersi della violenza tra i gruppi, si è palesata la propensione, anch’essa a base innata, a lasciarsi indottrinare, ovvero conformarsi ai concetti e atteggiamenti dei leader.

Molti di coloro che hanno letto le intercettazioni dei messaggi che si inviavano i terroristi, oppure hanno visto le immagini delle modalità di addestramento di queste persone nei campi dell’Isis, non sono riusciti ad orientarsi nel caos dei loro comportamenti. Tendiamo di analizzarli sulla scorta di ciò che si è appena descritto. Nell’irruzione al locale Bataclan nella capitale francese, i kamikaze non hanno mostrato alcuna pietà nel confronto vis a vis con chi implorava salvezza, come se quelle persone che avevano davanti ai loro occhi non fossero esseri umani. Non a caso nei campi di Abu Bakr al-Baghdadi, personaggio ritenuto come un indiscusso leader carismatico, si procede con un indottrinamento che sprona i seguaci a pensare che una cultura nemica minaccia la propria famiglia e il proprio popolo. L’addestramento dà adito alla necessità di salvare i propri consanguinei e di vendicare il sangue versato, mettendo in atto l’uccisione di possibili o simbolici responsabili dei lutti familiari. La moltitudine di individui da sterminare vengono descritte, in termini stereotipati e semplificati, come persone estranee portatori di caratteristiche così diverse (religione, abitudini, regole ecc.) da essere equiparabili a specie diverse.

Riassumendo: contemplando sulla potenza dell’indottrinamento, nei campi dell’Isis è stata caldeggiata una cultura della violenza e dell’odio che ha fatto leva su propensioni biologiche, quali l’investimento parentale e la paura dell’estraneo, celatamente distorte ed equiparate alla violenza pura e semplice, nelle sue manifestazioni distruttive e autodistruttive. Il significato che viene dato ai kamikaze del loro suicidio è legato ai numerosi vantaggi che gli vengono offerti da tale gesto. Su ciò ha lavorato nello specifico l’indottrinamento nei campi di addestramento dell’Isis, dove un’organizzazione senza scrupoli si è formata come una vero e proprio laboratorio per kamikaze, uomini istigati a considerare dei civili inermi come minaccia della sopravvivenza del loro popolo e perciò come obiettivo militare naturale, al di là di qualunque dichiarazione formale di guerra.

Dott. Stefano Becagli

Psicologo