Culture
“Di falsi sono pieni i musei”, parola di Harry Bellet
Si intitola Falsari illustri l’ultimo libro del critico francese, studioso, già esperto per il Centre Pompidou di Parigi. Ne racconta le storie dei più celebri
di Raffaello Carabini
I falsari esistono praticamente da quando esiste l’arte e non sono affatto personaggi geniali. “Se lo fossero stati si sarebbero cimentati nel realizzare opere innovative e creative e sarebbero diventati grandi artisti”, afferma deciso Harry Bellet, critico francese di fama, autore del bel volumetto Falsari illustri, da poco tradotto in Italia (Skira, pgg. 117, € 19). “Non sono delle persone perbene, benché le loro storie spesso affascinino la gente, come quelle di Arsenio Lupin oppure di Robin Hood.”
Ma che dire del giovane Michelangelo che, nel 1496, a 21 anni senza un fiorino, scolpì un Cupido dormiente alla maniera degli artisti dell’antichità greco-romana e lo seppellì tra le vigne fuori Firenze per dargli una patina antica? Un mercante amico lo vendette al cardinale Raffaele Riario, che però scoprì l’inganno. Alcuni dei suoi primi biografi affermarono che fu l’abilità nell’ingannare tutti con quella opera a convincere il mercante a far venire a Roma il Buonarroti.
Oppure delle botteghe, in primis quelle di El Greco e dei Bruegel, che sfornavano cinque o sei dipinti più o meno identici – dei multipli ante litteram – a quello originale del maestro, e sotto la sua supervisione, per piazzarli ai diversi committenti. Lo facevano in molti, e scoprire la differenza tra le copie prodotte dagli allievi e il quadro capostipite è oggi rovello dei critici.
Il vero e proprio boom dei falsi scoppiò insieme alla moda del grand tour, quando nel 700 tutti gli artisti e gli amanti dell’arte “dovevano” viaggiare lungo l’Italia al fine di trarre ispirazione e scoprire le opere più belle del mondo. E di portarsene in patria degli esemplari. Ne finirono talmente tanti nelle collezioni più importanti da lasciar ipotizzare che sicuramente una parte consistente sia stata realizzata da “artigiani” abili quanto fasulli. Tanto che – poiché la gran parte di quelle collezioni sono state vendute o regalate ai musei di mezzo mondo – pare condivisibile l’affermazione di Thomas Hoving, che nel 1997 disse che il 40% delle opere del Metropolitan Museum, di cui era direttore, sono false. E lo stesso vale a maggior ragione per istituzioni meno prestigiose.
Falsari illustri narra le vicende dei più famosi, da Han van Meegeren, che ingannò il gerarca nazista Goering con i suoi falsi Vermeer, a Eric Hebborn, che riempì Roma di disegni “rinascimentali” e morì assassinato sul Lungotevere, ma anche dallo scultore greco Pasitele che imbrogliava gli estimatori romani oppure il seicentesco Pietro della Vecchia, che realizzava perfetti Giorgione.
Però, dice Bellet, “i falsari veramente bravi non sono nel libro, perché non li conosciamo. Non c’è un gioco con l’investigatore, un desiderio narcisistico di venire scoperti, di dimostrare di essere il bravo capace di fare l’opera perfetta, un po’ come i serial killer. In realtà i falsari non si sono mai arresi di loro volontà. Non li considero comunque artisti con un vero stile, un vero talento. Ricordo che nel 500 i falsari venivano bolliti...”