Culture
Le multiple visions di Roy Lichtenstein arrivano al Mudec di Milano
Dal 1 maggio all’8 settembre al Mudec di Milano “Roy Lichtenstein. Multiple Visions”. In mostra una selezione di opere dell’artista della pop art
In mostra circa 100 opere tra stampe, sculture, arazzi, un’ampia selezione di edition provenienti da prestigiosi musei, istituzioni e collezioni private europee e americane (la Roy Lichtenstein Foundation, la National Gallery of Art di Washington, il Walker Art Center di Minneapolis, la Fondation Carmignac e Ryobi Foundation, Gemini G.E.L. Collection), oltre a video e fotografie.
“Roy Lichtenstein. Multiple Visions” è curata da Gianni Mercurio e promossa dal Comune di Milano-Cultura e da 24 ORE Cultura-Gruppo 24 ORE, che ne è anche il produttore, per l’ideazione di MADEINART. La mostra - che è stata pensata anche per essere ospitata in un museo come il Museo delle Culture, da sempre attento per vocazione ai diversi linguaggi artistici - evidenzia, attraverso una panoramica sui temi e i generi dell’arte di Roy Lichtenstein, come gli elementi di diverse culture confluiscano nel suo lavoro di decostruzione e ricostruzione dell’immagine, e quindi elaborate in chiave pop con il suo linguaggio personalissimo: dalla storia della nascita degli Stati Uniti all’epopea del Far West, dai vernacoli e le espressioni artistiche etnografiche degli indiani d’America alla cultura pop esplosa in seguito all’espansione dell’economia mondiale del secondo dopoguerra, dalla cultura artistica europea delle avanguardie allo spirito contemplativo dei paesaggi orientali. La fascinazione per la “forma stampata”, cioè la riproduzione meccanica come fonte di ispirazione, che è alla base del lavoro di Roy Lichtenstein e che nella sua pittura viene attuata in un percorso che parte da una copia che viene trasformata in un originale, viene presentata in questa mostra nel suo processo inverso: da un’idea originale a una copia moltiplicata. Una ricerca che l’artista condusse nel corso di tutta la sua carriera attraverso la stampa e la manifattura, realizzando lavori pensati ad hoc (la realizzazione di una stampa o di una scultura partiva da disegni e studi preparatori, come per i dipinti) e impiegando tecniche e materiali innovativi; una pratica che diventa una forma di espressione artistica e un’estensione della sua visione estetica, costruita metodicamente da Lichtenstein in parallelo alla pittura e di cui la mostra presenta l’evoluzione a partire dai primi lavori degli anni Cinquanta.
La mostra è organizzata in un percorso tematico, che evidenzia l’evoluzione nel lavoro di Lichtenstein rispetto alla riproducibilità meccanica dell’opera d’arte, di cui è stato forse il più sofisticato interprete.
La storia e i vernacoli
Negli anni ’50 Roy Lichtenstein perfezionò le tecniche di riproduzione meccanica tradizionali come litografia, acquatinta e incisione che aveva appreso a scuola. Con quei primi lavori egli non considerava ancora il printmaking come qualcosa di comparabile con la pittura, ma piuttosto un momento scolastico di distrazione. In quell’epoca pre-pop Lichtenstein rivisitava iconografie medievali, reinterpretava opere letterarie americane o dipinti, ricalcando stili e forme dell’astrattismo europeo e in particolare gli universi di Paul Klee; mescolava il modernismo proveniente dall’Europa con i vernacoli della storia e della cultura americana: gli indiani e il Far West, le scene di vita dei pionieri alla conquista delle terre, gli eroi e i cow-boy. Su questa imagerie Lichtenstein impresse uno stile vagamente favolistico e ironico, che derivò proprio da Picasso, Klee, Ernst. Alla fine degli anni ’70, che coincidono con un rinnovato attivismo sociale e politico dei Nativi d’America e con la nascita del movimento Red Power, Lichtenstein ritorna sul tema delle decorazioni e dei motivi dei nativi americani riletti in chiave pop.
Gli oggetti quotidiani
La poetica degli oggetti è sicuramente uno dei temi fondanti della pop art. Anche per Lichtenstein gli oggetti di uso quotidiano diventano segni, riprodotti con intenzionale superficialità e con grossolana semplificazione, sono ritratti di “una certa anti-sensibilità che pervade la nostra società”. Il colore dell’oggetto diventa nei lavori di Lichtenstein colore-oggetto: a partire dalle serie “Still Life”, l’elemento colore diventa centrale con un suo valore intrinseco e astratto, aldilà dell’oggetto che avvolge. Prediligendo i colori “fondamentali” e evitando le gradazioni tonali, l’artista ne esalta il carattere percettivo; proprio negli anni ’60, gli studi di cromo-dinamica hanno un ruolo importante nei progetti di industrial design. Nella serie dei “Mirrors” l’artista ha uno scarto concettuale: lo specchio ci appare in realtà come un oggetto-non-oggetto: non ha immagini riflesse e mancando alla sua funzione, diventa un oggetto astratto, uno spazio misterioso, da attraversare, come lo specchio di Alice.
Interior design
Il tema dell’oggetto ha per Lichtenstein un’estensione in quello degli Interiors, del 1990, che fa riferimento a un gruppo di dipinti di interni, Artist’s Studio Paintings, realizzati da Lichtenstein tra il 1972 e il 1974; in questi lavori più che gli oggetti e gli arredi, gli elementi più importanti erano delle autocitazioni, cioè dipinti appesi alle pareti, che riproducevano opere precedenti dello stesso Lichtenstein. La serie di prints degli Interiors precedette i dipinti con lo stesso soggetto e fu realizzata attraverso una combinazione di diverse tecniche di stampa tra cui litografia, xilografia e serigrafia. Gli ambienti interni e il mobilio hanno sempre interessato Lichtenstein, nei suoi primi lavori pop troviamo bagni, tende, stufe, divani. Gli Interiors di Lichtenstein, nelle prints di grandi dimensioni, sono ambienti della vita quotidiana, ma inanimati, inabitabili, moderni interni quasi metafisici.
Fumetti
Lichtenstein scoprì la visualità bidimensionale dei comics, pilastro della cultura visiva popolare americana, come fonte di ispirazione e di materiali per la sua arte nel 1961, ma sebbene sia un forte elemento di riconoscibilità della sua arte (con il puntinato tipografico) utilizzò le immagini dei fumetti per pochi anni. Il suo intento era di circoscriverne l’aspetto formale a scapito di quello narrativo, prelevando un singolo fotogramma e ingrandendo l’immagine in fuori scala, imitando “a mano” la tecnica tipografica con cui era stata riprodotta. Lichtenstein era interessato alla forma e all’impatto nella percezione dell’immagine, non al soggetto o all’azione. Il risultato è un’immagine molto più complessa e potente dell’originale. Le prime prints, che Lichtenstein pubblicò con Leo Castelli, erano stampe offset, senza testo, usate come poster promozionali, la qualità delle immagini e il colore erano volutamente lasciati un po’ ruvidi, imperfetti, da evocare l’origine mediocremente tipografica. I soggetti di riferimento erano tipi di fumetti maschili (guerra e action, immagine dinamica) e femminili (romance, immagine statica). Al sentimentalismo femminile sono contrapposte immagini di guerra e di violenza tratte dai comics maschili, di una violenza certamente edulcorata dalla finalità artistica, ma che attirarono su Lichtenstein l’accusa di replicare un immaginario machista.
La figura femminile
Il tema della rappresentazione della figura femminile nell’arte di Roy Lichtenstein procede in parallelo con le evoluzioni sul tema più generale della donna nel contesto sociale e culturale della società americana tra gli anni 60 e gli anni 90. Nei primi anni 60 la donna è ripresa dalle pubblicità dedicate alla cura del corpo e della casa, è rappresentata come una casalinga felice in un habitat di benessere materiale, in sintonia con gli stereotipi propagati dal contesto sociale e culturale dell’epoca. Successivamente la rappresentazione della donna passa alle immagini piatte e bidimensionali riprese dai cartoons: una donna idealizzata, popplatonica, secondo i clichè delle novelle illustrate per teen–agers, dipinta quasi sempre come sognante o in balia di “inquietudini esistenziali”. Negli anni ’70 avviene un cambiamento nella rappresentazione della donna da parte dell’artista americano, a cui non è probabilmente estraneo l’avvento dei movimenti femministi. Fino al 1977 la figura femminile quasi scompare dai suoi lavori, per poi riapparire filtrata dalle visioni che ne avevano avuto i maestri delle avanguardie del Novecento, da Picasso a de Kooning al surrealismo. Le donne riappaiono con immagini da cartoons, che si scorgono solo parzialmente dietro una cortina di riflessi, per diventare tema unico nei lavori del 1994 e 1995 con la serie dei nudi. Qui troviamo donne ritratte in una sfera intima, tra loro, sensuali, che hanno abbandonato l’aura malinconica e sembrano aver sostituito al romanticismo il narcisismo.
Paesaggi
Lichtenstein realizza i primi Landscapes insieme agli ultimi fumetti figurativi. Ovviamente fa riferimento a immagini realizzate da altri piuttosto che alla natura: nei templi greci o in tramonti e albe ha voluto riprodurre non la realtà, ma la sua immagine ripresa dagli sfondi dei cartoon. Intorno al tema del paesaggio Lichtenstein inizia la sperimentazione con materiali innovativi nella riproduzione e utilizza il Rowlux, un tipo di plastica lenticolare che suggerisce un’idea di movimento all’osservatore che le gira intorno. Il tema del paesaggio si ripropone ancora nelle sue serie, come in Landscapes Series del 1985. In questi paesaggi, con pennellate di molti colori diversi che mostrano quanto il repertorio cromatico dell’artista rispetto alle prime prints si sia qui arricchito e evoluto e che creano un’immagine di intricata gestualità espressionista, sono mescolate per la prima volta le pennellate stilizzate tratte dai cartoon con cui l’artista ironizzava sullo “stile action painting” e pennellate “reali”.
Astrazione
A parte alcuni tentativi di esplorazione dell’astrattismo della fine degli anni ’50, presto abbandonati, coerentemente con lo spirito pop più che all’astrazione come genere pittorico Lichtenstein è interessato a una sua rappresentazione parodistica. A partire dal 1965 crea alcuni Brushstrokes, opere che riproducono come soggetto isolato una pennellata, gesto archetipico e simbolo romantico della pittura, e ne fornisce, congelando la fluidità del segno, una versione aggiornata ed ironica: il gesto espressionista astratto si trasforma nel suo opposto, un clichè industriale. Dopo aver affrontato il tema della pennellata nei Brushtrokes degli anni ‘60, Lichtenstein vi torna nuovamente negli anni ‘80 modificando profondamente il suo stile. La pennellata “congelata” si espande e si moltiplica in un segno scomposto, con cui affronta temi d’ispirazione classica come la natura morta e il paesaggio, o reinterpreta opere di grandi maestri, da Van Gogh a de Kooning.
Maestri del Novecento
A partire dal 1963 Lichtenstein inizia a reinterpretare, basandosi sempre su riproduzioni a stampa, temi tipici e maestri delle avanguardie del Novecento. Non si tratta di un mero citazionismo o della volontà di reinterpretare l’arte del passato ma di una sua decostruzione e rilettura stilistica che riconduce l’immagine ad una dimensione contemporanea. Se nelle prime opere con questo taglio Lichtenstein propone un rifacimento di un’opera precisa, come nelle Cattedrali di Rouen di Monet, nelle opere riferite all’Espressionismo o al Surrealismo intende ricostruire uno stile e non un soggetto o un dipinto in particolare. L’arte delle avanguardie moderne non costituisce per Lichtenstein una tradizione impegnativa, un tracciato che sia necessario seguire ma è alla stregua di un oggetto, uno strumento di cui disporre liberamente fino a farne strumento di un gioco linguistico e creativo totalmente rinnovato e “anestetizzante”.