Culture
Mostre: a Milano "2050", ecco il futuro visto da 46 artisti
A Palazzo Reale la mostra "2050": il futuro visto da 46 grandi artisti internazionali
Dipinti, sculture, foto, video, installazioni: 50 opere d'arte contemporanea di 46 grandi artisti internazionali, indagano il nostro futuro in una esposizione ispirata al saggio Breve storia del futuro di Jacques Attali (pubblicato nel 2006 e rieditato nel 2016 da Fazi Editore, aggiornato ai nuovi scenari globali). La mostra, a cura di Pierre-Yves Desaive e Jennifer Beauloye, che resta aperta fino al 29 maggio a Palazzo Reale a Milano, presenta attraverso una selezione di opere recenti, il modo in cui gli artisti contemporanei osservano il presente per condurre una riflessione sul futuro. Conflitti globali, mutazioni genetiche, diseguaglianze sociali ed economiche, sfruttamento delle risorse naturali compongono il complesso panorama dei prossimi decenni; gli artisti di "2050" interpretano queste tematiche complesse e invitano a ri-pensare il tempo che verra' con visioni anche costruttive e talvolta ironiche. La mostra e' promossa e prodotta dal Comune di Milano, Palazzo Reale e la casa editrice Electa, in collaborazione con i Musees Royaux des Beaux-Arts de Belgique a Bruxelles dove il progetto ha preso vita con una doppia esposizione. "In questa mostra si intersecano molte delle direttrici che contribuiscono a definire l'identita' culturale di una comunita', di un periodo storico, di uno 'spazio sociale' omogeneo - ha dichiarato l'Assessore alla Cultura Filippo Del Corno -: il pensiero critico, la scrittura, la riflessione sul presente, i tanti linguaggi dell'espressione visuale, le preoccupazione per il futuro, l'analisi sociale, la proposta politica intesa in senso 'puro', la creativita' usata come strumento per superare, o anche semplicemente contrastare, un'attualita' che turba, il tentativo dare una spallata a una direzione potenzialmente pericolosa della realta'. Una mostra che interpreta inquietudini e timori e al tempo stesso svela soluzioni".
Il percorso di mostra, diviso in 8 sezioni, e' articolato intorno a diversi nuclei, liberamente ispirati agli interrogativi sviluppati nel saggio di Attali. Tutto ha inizio negli anni Ottanta a Los Angeles (evocata nei lavori di Chris Burden, Edward Burtynsky, Edward Ruscha, Tracey Snelling), la citta' natale del microprocessore che, in arte, ha ispirato le sperimentazioni con il computer di Charles Csuri e Masao Kohmura. Al fermento della modernita' della Silicon Valley, al consumismo e al capitalismo segue poi il declino dell'Impero americano, identificato in mostra con gli attentati dell'11 settembre 2001 nelle immagini di Wolfgang Staehle e Hiroshi Sugimoto; la tragica vicenda segna uno sconvolgimento politico su scala planetaria di cui ci parlano i lavori di Mark Napier, Alighiero Boetti, Mona Hatoum. Jacques Attali descrive in questa fase storica l'avvento di un "iperimpero" nel quale le diseguaglianze economiche diventano la norma, una tematica testimoniata nelle opere in mostra di AES+F, Andres Serrano, Aaron Koblin o Gavin Turk. L'iperimpero, nel quale anche il tempo diventa merce (con le opere di Gustavo Romano, Roman Opalka, On Kawara) e dove il corpo umano si trasforma per incontrare la macchina (i lavori di Stelarc, Hans Op de Beeck), si deve confrontare con molteplici calamita': sovraconsumo (John Isaacs), sovrapopolazione (Michael Wolf, Yang Yongliang) e sovrasfruttamento delle risorse naturali e inquinamento (Olga Kisseleva, Robert Mundt). Quando le tensioni nate da tali disequilibri diventano insostenibili, sopraggiunge l'"iperconflitto", sempre nel pensiero di Attali, agevolato da un crescente accesso alle armi di distruzione di massa (Gregory Green) e sostenuto da ideologie religiose distorte (Al Farrow). A fianco di questa visione catastrofica, l'esposizione propone anche opere che fanno eco alla "iperdemocrazia" definita da Jacques Attali, la quinta ondata del futuro che potrebbe sfociare in un mondo migliore, cosi' come lo evocano i lavori di Bodys Isek Kingelez, Mark Titchner, Goncalo Mabunda, Jean Katembayi Mukendi o il progetto Little Sun.