Culture
Verso il "Women’s Fiction Festival"/ "Il futuro? Grazie a e-book e self-publishing avremo libri sperimentali, seriali e...". Ecco quali potrebbero essere le nuove tendenze
"Women’s Fiction", il decennale del festival sulla letteratura al femminile
![]()
Scrittori, editori, editor, interviste, recensioni, librerie, e-book, curiosità, retroscena, numeri, anticipazioni... Su Affaritaliani.it tutto (e prima) sull'editoria libraria |
di Antonio Prudenzano
su Twitter:
@PrudenzanoAnton
Elizabeth Jennings è la co-ideatrice del "Women's Fiction Festival", rassegna che presiede e che è giunta alla decima edizione (in programma a Matera dal 26 al 29 settembre - nel box a destra tutti i particolari, ndr). Di nazionalità statunitense, Jennings è interprete, traduttrice e scrittrice (è autrice di romanzi rosa e di gialli), e vive nell'affascinante cittadina lucana dal 1988. Affaritaliani.it l'ha intervistata per scoprire come potrà evolversi una delle rassegne letterarie più attente all'evoluzione del mercato librario e alla rivoluzione digitale.
Il vostro festival festeggia i primi 10 anni. A Matera avete anticipato il successo dei romanzi "al femminile" (rosa, "chicklit", erotici...) che da tempo, ormai, hanno conquistato le zone alte delle classifiche di vendita anche in Italia. Come immagina il futuro del "Women’s Fiction Festival"?
"Questi dieci anni sono serviti al mondo editoriale per mettersi al passo con la realtà di una narrativa al femminile ricca, varia e amata dalle lettrici. Dieci anni fa eravamo consapevoli di precorrere i tempi, di promuovere un genere letterario che avrebbe sfondato sul mercato. Sono certa che la 'narrativa al femminile' nei prossimi anni crescerà ancora, grazie ai nuovi mezzi di produzione e distribuzione; ci aspettiamo di dare il benvenuto a molte nuove voci che prima non trovavano spazio nell’editoria tradizionale".
Perché?
"Per le autrici 'non convenzionali' erano altissime le barriere che bloccavano l’accesso al mondo editoriale. Con il digitale queste barriere si sono abbassate. Ecco perché mi aspetto nuovi voci multietniche, di giovani e di anziani, di scrittrici che si avventurano nei generi considerati più ‘maschili’, come il thriller e la fantascienza. Il WFF da sempre fa il possibile per aprire le porte alle tante voci finora soffocate o comunque non incoraggiate, e continuerà a farlo".
Al tempo del self-publishing e della (lenta) diffusione degli e-book, è cambiato il ruolo del "Women’s Fiction Festival"?
"Noi del WFF siamo in perfetta sintonia con la rivoluzione digitale, sia come Festival sia come congresso per scrittori. Molte delle scrittrici della prima edizione del Festival, già nel 2004 scrivevano per piccole case editrici digitali. Per gli editori tradizionai forse il digitale ha creato un po’ di scompiglio, ma per chi scrive e per chi legge – e noi siamo un Festival per chi scrive e per chi legge, rappresenta una grande opportunità. Nuovi orizzonti, nuove opportunità, nuovi mercati. Il ruolo del 'Women’s Fiction Festival' si innesta perfettamente nel nuovo scenario".
L'ascesa del digitale e dell'auto-pubblicazione non la preoccupano affatto...
"Quella in atto è la più importante rivoluzione editoriale dai tempi di Gutenberg. Il mondo editoriale tradizionale, non va dimenticato, è industriale, nel senso ottocentesco del termine. E' incentrato sulla produzione, l'immagazzinamento e la distribuzione di articoli pesanti. Un po’ come l’industria dell’acciaio. Di conseguenza, richiede forti investimenti e forti introiti, e ha forti vincoli territoriali, temporali ed economici. Una casa editrice tradizionale può pubblicare solo un certo numero di libri l’anno. In termini economici, rappresenta un 'modello di scarsità'. Il digitale sta spazzando via tutto questo. Il nuovo modello è quello dell'abbonzanza. L’anno scorso il nostro motto era ‘Pubblicare è un clic’, dal famoso detto del filosofo Clay Shirkey, 'Publishing is a button'. Molti rimpiangono il vecchio modello: pochi e costosi libri selezionati con cura...".
Con il self-publishing a volte la qualità passa in secondo piano...
"E' vero, le pubblicazioni oggi sono una marea, e alcune sono scritte in fretta e furia, sono buttate lì. Allo stesso tempo, però, molte sono curate e originalissime. Secondo il vecchio paradigma anche queste ultime non avrebbero alcuna speranza di essere pubblicate; secondo il nuovo, invece, possono vendere anche milioni di copie".
Vero, anche se per ora soprattutto negli Stati Uniti...
"Oggi sono molti gli scrittori, soprattutto anglosassoni, che bypassano completamente il sistema editoriale tradizionale. Dopo anni di tentativi vani di varcare la barriera, decidono di rivolgersi direttamente al lettore con un testo ben scritto, con una copertina curata e con un buon piano di marketing. E vendono. Perché, in fondo, tutto questo apparato industriale è composto da due elementi principali: lo scrittore e il lettore. Il resto, potenzialmente, è del tutto superfluo. Sono tempi interessanti…".
Naturalmente la sua posizione "radicale" sul self-publishing non farà piacere a tanti editori tradizionali, che la pensano molto diversamente... In ogni caso, quest'anno la madrina del Festival sarà Laura Donnini, Amministratore Delegato del Gruppo Rcs libri. Dal 2004 al 2009, infatti, l'allora Direttore Generale di Harlequin Mondador ha dato fiducia e sostegno al vostro Festival. All'inizio è stato difficile convincere i grandi editori dell'importanza di un appuntamento come quello di Matera?
"Laura Donnini è una grande dirigente, lungimirante e intelligente. Ha colto subito il potenziale di un Festival che collabora in stretta sintonia con le case editrici. In più, la Harlequin Mondadori faceva e fa parte di un grande gruppo editoriale internazionale, Harlequin Enterprises, e la ‘casa madre’, per così dire, era molto abituata a frequentare i congressi per scrittori, che nel Nord America sono frequenti. Ha colto al balzo la nostra proposta di collaborazione ed è nata una felice collaborazione che durerà a lungo".
La cosiddetta "Borsa del Libro" è uno dei momenti distintivi del Festival lucano: gli agenti e gli editor presenti sono disponibili per colloqui a tu per tu con i partecipanti provenienti da diversi paesi del mondo (il pitching dura 10 minuti, in cui è possibile raccontare la propria idea o la propria storia sotto forma di sinossi. L’opportunità è unica: si può essere valutati, rifiutati, scelti e/o pubblicati): inizialmente è vero che a parteciparvi erano soprattutto aspiranti autori stranieri, e che tra gli italiani c'era un certo scetticismo?
"Gli americani sono assetati di efficientismo, neanche fosse una religione. Allo stesso tempo, a ben pensarci, il vecchio modello di talent scouting delle case editrici - aspettare in un ufficio che il capolavoro venga inviato per posta - non è intelligente. Nessuna industria potrebbe aspettarsi che il rifornimento di nuovi prodotti avvenga ‘per caso’. È così che è nata l’idea della ‘writers’ conference’, dove nuove voci propongono il pitching del loro romanzo a più editor di più case editrici. È vero, inizialmente la maggior parte degli iscritti alla Borsa del libro erano stranieri, per lo più americani. Avevamo iscritti californiani o australiani, ma non pugliesi o milanesi. Pian piano, però, l’idea ha preso piede anche tra gli italiani, che ora considerano il Festival una tappa obbligata nel loro percorso di scrittore. Coerentemente a quanto detto finora, quest'anno gli aspiranti scrittori potranno chiacchierare non solo con editor e agenti ma anche con personaggi che si muovono attivamente nel nuovo scenario digitale, come per esempio i responsabili di Amazon Kindle".
Lei ha uno sguardo internazionale: quali tendenze vede diffondersi oltreoceano nell'ambito della letteratura "al femminile"?
"Molte tendenze sono già visibili. Grazie al digitale ci imbatteremo in una crescita della cosiddetta narrativa 'di nicchia', ad esempio 'rosa gay', oppure in romanzi ambientati in mondi molto ristretti, come la comunità Amish. Cambierà anche la lunghezza dei libri: 'Il Vecchio e il Mare' è di 84 pagine: oggi il capolavoro di un Hemingway giovane e sconosciuto probabilmente non sarebbe pubblicato. Troppo breve. Faccio un altro esempio: George RR Martin (l’autore del 'Trono di Spade') ha dovuto dividere in due parti due suoi romanzi di oltre 1000 pagine, perché troppo lunghi. Ecco, con il digitale molti autori hanno avuto successo con racconti brevi ma anche con saghe lunghissime. Per uno scrittore questo è importante. Nella narrativa femminile si puntava sulle ‘antologie’, perché molte storie erano troppo brevi. Ora possono trovare il loro pubblico da sole. Inoltre, si sperimenteranno gli ibridi tra generi. E ci saranno anche più libri 'seriali'. E visto che il testo digitale non deve sparire dagli scaffali dopo poche settimane dall'uscita, si potrà sempre trovare tutti i libri della serie. Noi del Festival saremo felici di accogliere questi cambiamenti".