Economia

Artigiani in Lombadia, calo della produzione del 24,3% tra aprile e giugno

Eduardo Cagnazzi

Tra i settori più colpiti pelli e calzature, tessile, abbigliamento, legno e mobili. Parolo: "E' il segnale dell'immobilizzazione della ricchezza finanziaria"

Nel secondo trimestre 2020 la produzione manifatturiera artigiana registra un calo del -24,3% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, mentre quella industriale un peggioramento del -20,7%, effetto dei provvedimenti di contenimento della pandemia in lockdown e fase2. I settori produttivi artigiani più colpiti da aprile a giugno sono pelli e calzatura (-46,8%), tessile (-34,2%), abbigliamento, legno e mobilio (-29%).

È quanto emerge dalla conferenza stampa “Focus Imprese 2020” di Unioncamere Lombardia in collaborazione con Regione Lombardia, Confindustria Lombardia, le associazioni regionali dell’artigianato: Cna, Confartigianato, Claai e Casartigianati in cui sono stati presentati i dati sull’andamento economico di industria e artigianato in Lombardia nel 2° semestre 2020.

Dall’indagine in tema di cash cautelativo emerge che le famiglie italiane nel cuore della pandemia (febbraio-aprile) hanno accumulato 34,4 miliardi di euro, da aggiungere ai 121 miliardi di risparmio aggiuntivo dei tre anni precedenti.

“È il segnale -commenta Daniele Parolo, presidente di Cna Lombardia (nella foto), in rappresentanza delle associazioni regionali dell’artigianato- di un fenomeno di immobilizzazione della ricchezza finanziaria che, se da un lato configura la reale presenza di riserve in un quadro di non trascurabile solidità, dall’altro denuncia un tic difensivo di intere fasce della società che dobbiamo invece incoraggiare ad alimentare la domanda e a sostenere, direttamente o indirettamente, gli investimenti.

Rispetto a questo quadro, non possiamo ignorare le differenze strutturali tra artigianato ed industria, per esempio in ordine alla densità degli scambi commerciali con l’estero e pertanto sia all’intensità della caduta di fatturato (decisamente superiore quella del comparto artigiano) sia all’energia e alla rapidità del ritorno alla crescita. L’artigianato appare fisiologicamente più ancorato all’andamento dei consumi delle famiglie e alla domanda interna. Anche sul piano del finanziamento della sopravvivenza delle imprese e del loro rilancio in questa fase, mentre l’industria è visibilmente più in possesso di mezzi propri, la centralità del credito bancario per le imprese artigiane appare come un fattore da considerare anche in ordine alle politiche da attuare”.

Dai dati Unioncamere emerge inoltre come rispetto al 2019 sia aumenta la fetta di coloro che ricorrono al credito per esigenze di liquidità e cassa (dal 40,5% al 62,5% per le industrie; dal 45,5% al 65,8% per l’artigianato) o per consolidamento/ristrutturazione del debito (dal 4,9% al 9,4% per le industrie; dal 5,3% al 9,9% per l’artigianato).

Sul lato industriaaumentano gli accessi al credito per fare investimenti produttivi (49,3% dei casi, rispetto al 48,6% del 2019), mentre lato artigianato si avverte una contrazione, sulla base di una cifra già di per sé di diversa dimensione (si passa dal 31,9% del 2019 al 30,2% del 2020).

“Dai dati recentemente pubblicati a proposito dell’andamento economico dei territori – continua Parolo - appare un gap crescente tra le regioni più avanzate d’Italia e i principali competitor europei. Si pensi solo al fatto che la dinamica del Pil tra il 2010 e il 2019 è stata in Baviera pari al +21,8%, in Lombardia al +2,5%. Mentre in termini di Pil pro-capite la Lombardia si collocava nel 2010 davanti alla Baviera (36.027 euro contro 35.951 euro), nel 2019 le posizioni si sono violentemente rovesciate (48.323 euro la Baviera, 39.397 euro la Lombardia).

Questo dato realmente preoccupante dovrebbe dal nostro punto di vista stimolare il Governo a valutare seriamente i due dati simultanei del gap tra il Nord produttivo e il resto della Penisola e del gap che il Nord produttivo è destinato ad accumulare verso altre Regioni europee più competitive se non debitamente accompagnato e “liberato” nelle sue potenzialità.

Oggi non è allora certo il tempo di cogliere il dramma della pandemia globale per seppellire la richiesta di maggiore autonomia da parte delle tre Regioni del che producono insieme il 41 per cento della ricchezza nazionale.

Oggi appare piuttosto indispensabile pensare a come meglio tenere unita e forte la società del Paese definendo un piano nazionale e strutturato di interventi di incentivazione fiscale e semplificazione amministrativa per le aree e le filiere nelle quali possiamo riconoscere i driver della crescita: una sorta di Silicon Valley italiana, però diffusa in diverse aree del Paese e non necessariamente tutte al Nord”.