Economia

Autogrill Italia, la ristrutturazione dà i suoi frutti, ora i Benetton...

Luca Spoldi

Dall'assemblea annuale emergono prime aperture all'ipotesi, finora respinta con forza, di future partnership per le attività italiane del gruppo


Autogrill che oscilla sui valori di ieri a Piazza Affari, dopo un'accelerazione a metà giornata che aveva portato il titolo a risalire sopra i 10,9 euro per azione per qualche minuto, prima di ridiscendere poco sopra quota 10,5 euro. Cos'era successo? Che nel corso dell'assemblea di bilancio odierna, che ha anche rinnovato la delega al Cda per l'acquisto di azioni proprie e approvato la distribuzione del dividendo,  assemblea a cui hanno partecipato in tutto nove azionisti, che in proprio o per delega rappresentano il 73,49% del capitale sociale (di cui il 50,1% facente capo alla holding dei Benetton, Edizione), l'amministratore delegato del gruppo, Gianmario Tondato da Ruos, e il presidente, Gilberto Benetton, hanno fornito alcune indicazioni interessanti.

Una in particolare: dopo "un anno veramente memorabile" come il 2017, durante il quale la società ha "vinto e rinnovato quasi 10 miliardi di euro di fatturato", partendo da un portafoglio "già abbastanza variegato", ma rispetto al quale si stanno "comunque piantando semi che daranno più avanti frutti", in particolare in mercati emergenti "come Cina, India, Emirati Arabi e Indonesia", per quanto riguarda le attività italiane, "negli ultimi anni il parente povero del gruppo" ma su cui il gruppo ha sostenuto "molti investimenti e tutti se ne sono accorti", se in futuro "si presenteranno delle occasioni, qualche partnership potrà avvenire". Insomma: non chiamatala vendita, perché come ha sottolineato lo stesso Gilberto Benetton "vendere è una parola che ci dispiace sempre", dopo la riorganizzazione societaria i Benetton sono possibilisti "rispetto a qualsiasi opportunità che potrebbe emergere sul mercato e che ci possa far capire che occorre prendere una strada diversa rispetto a dove stiamo andando". Insomma, non l'ha ordinato il dottore, ma se emergesse qualche offerta davvero importante una partnership la si potrebbe fare, "anche se non è detto che la si faccia". Ma quale partnership potrebbe profilarsi all'orizzonte?

Da mesi si parla di un interesse da parte dei grandi fondi di private equity e infrastrutturali internazionali. Sono già circolati anche i primi nomi: Carlyle, KKR, Blackstone, Macquarie ed un "investitore finanziario specializzato" con passaporto statunitense, magari come Global infrastructure partners (Gip), il maggiore fondo infrastrutturale al mondo che in Italia ha già rilevato il controllo di Italo e che opera principalmente nel settore dei trasporti, dell'energia e del trattamento dei rifiuti.

Qualche analista come quelli di Equita Sim e Banca Imi, aveva anche azzardato un prezzo che potesse giustificare la vendita in toto o comunque la cessione di una partecipazione di controllo: 450-500 milioni di euro applicando un multiplo tra le 6 e le 7 volte l'Ebitda (nel 2017 pari a 67,5 milioni per le sole attività italiane).Finora però da Autogrill erano fioccate solo smentite, ora questa mezza apertura che giunge mentre il gruppo sembra ancora impegnato a valutare nuove possibili opportunità di crescita di fatturato e margini nel "bel paese", ad esempio con Eataly, con cui al momento c'è solo un locale sulla A1 all'altezza di Modena che però "che sta andando molto bene e che ha stupito anche i fondatori stessi di Eataly" come ha confermato Todato e dunque lascia aperta la porta all'ipotesi di "fare altro assieme in Italia" in futuro (anche in questo caso però la prudenza è d'obbligo e Todato subito aggiunge: "al momento non abbiamo nulla in programma").

La sensazione è che in Italia la riorganizzazione e il rinnovo dell'offerta stia iniziando a vedere i primi risultati positivi, grazie anche ad un traffico sia autostradale sia aeroportuale particolarmente sostenuto in Europa come a livello internazionale (dove però il calo del dollaro sull'euro ha pesato tutto lo scorso anno). Si sono dunque create le condizioni migliori per tornare a trattare da una posizione di maggiore forza eventuali partnership con soci finanziari o anche industriali. Non chiamatela cessione, per carità, però forse ora i Benetton sono in grado di strappare una valutazione più attraente di quella che potevano sperare di ottenere ancora pochi mesi or sono.