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Btp Valore, le ragioni di un mezzo flop. Italiani ormai sazi, e la Bce...

Btp Valore, le ragioni di un mezzo flop. Italiani ormai sazi, e la Bce l'11 giugno fa paura

La quarta edizione del Btp Valore (quello che secondo il Mef permette ai pensionati di andarsene in crociera grazie ai rendimenti, ndr) si è chiusa con 11,2 miliardi raccolti. L'ultimo giorno di collocamento ha registrato una domanda pari a 970 milioni: il bilancio è piuttosto magro, in leggero rialzo rispetto alla terza giornata, che faceva salire il totale parziale a 6,56 miliardi.

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Oltre al collocamento, però, il tema dei conti pubblici ha tenuto banco anche con il discorso del Superbonus, ed è qui - analizza Spy Finanza - che la narrativa è cambiata. Il ministro Giorgetti, al fine di giustificare la necessità di spalmare i crediti del Superbonus su 10 anni, ha evocato il Vajont come termine di paragone. Mentre la Dataroom di Milena Gabanelli sul sito del Corriere si riferiva ai conti pubblici italiani con il termine sfascio. Parole che hanno un peso, soprattutto se riferite ai medesimi conti pubblici che operano da sottostante a quel debito che si sta collocando. Il Mef, chiaramente, sperava in ben altro risultato, ma l’asta dalle condizioni così formalmente irrinunciabili è stata - per la verità - uno stress test. Più che collocare, serviva capire. E fissare un’altezza all’asticella. Quanto gli italiani sono ancora disposti a investire in debito pubblico? Poco. E non per sfiducia, almeno per ora. Non per il timore di futuri haircut o attivazione delle Cac, magari richiesti come sacrificio una tantum da un’Europa a guida Draghi. Bensì perché i soldi scarseggiano. I salari sono fermi. L’inflazione ha eroso il potere d’acquisto. E la pandemia, al netto di mance e mancette, ha intaccato il risparmio.

Ecco che allora il Mef sta di fatto elaborando i suoi modelli per capire quanto sia trasferibile il rischio Paese dalle banche ai cittadini/risparmiatori. E la Bce sta dettando l’agenda delle emissioni al Mef, perché la medesima Banca centrale che finora ha tenuto a bilancio tutti i Btp acquistati in seno al programma di acquisto pandemico (Pepp), a fine anno comincerà a scaricare. Fine del reinvestimento. A quel punto, l’Italia deve cercare compratori. Le banche? Troppo piene di debito e troppo poco propense a caricarsene ancora. La via da prediligere è il debito italiano in mano agli italiani, cosa che piace certamente al Governo. E che infatti ha visto il ministro Giorgetti parlare di ricchezza privata da mettere a disposizione del Paese.

La Bce ha detto chiaramente a Bankitalia che appare prudenziale cominciare quel trasferimento di rischio. Quantomeno per capire quanto debito è assorbibile dalle famiglie. Prima che parta davvero lo tsunami, nel momento in cui Francoforte comincerà un Qt di bilancio sui titoli acquistati nel post-2020. Ma già oggi, le famiglie italiane detengono direttamente il 13,5% del debito pubblico. E se si conteggia quello indirettamente detenuto tramite banche e intermediari, occorre sommare un altro 26,5%. Cui occorre unire la quota di risparmio postale. Insomma, per quanto possa sembrare incredibile, già oggi le famiglie italiane detengono circa il 47% del debito pubblico che fa capo a titoli di Stato e risparmio postale circolanti. Ne vorranno ancora? E se sì, avranno sufficiente capitale per acquistarne ancora nei tempi, nei modi e nei volumi necessari al Mef per riuscire a operare un controbilanciamento del disinvestimento titoli del Pepp da parte della Bce, al netto della moral suasion di Mario Draghi lo possa far procedere a ritmi più che blandi?

Le emissioni continue di questi primi mesi del 2024, nonostante tassi di interesse ai massimi e aspettative di un loro taglio nel mese di giugno, hanno quindi rappresentato una prima necessità di fare cassa, uno stress test di resistenza e capacità di assorbimento in vista delle prossime mosse della Bce.






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