Economia

Dazi, la Cina si è rotta di The Donald. Borse ko. Lunedì nero a Wall Street

Andrea Deugeni

Il listino Usa in forte rosso. Pechino risponde con altri dazi: aumento del 25% delle tariffe su 60 mld di dollari di import. Allo studio altre contromisure

Arriva “l’occhio per occhio, dente per dente” cinese. Nonostante le minacce di Donald Trump, Pechino ha optato per le ritorsioni commerciali dopo che venerdì gli Stati Uniti avevano alzato al 25% dal 10% i dazi su 200 miliardi di dollari di importazioni cinesi. Un irrigidimento americano prima che il nuovo round negoziale fra Washington e la Cina della scorsa settimana si concludesse con un nulla di fatto per la non volontà del governo del Dragone di introdurre meccanismi legislativi di controllo agli impegni presi negli accordi e di fare marcia indietro sulla politica dei sussidi su alcuni settori industriali.

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Pechino quindi ha fatto sapere che dal primo giugno prossimo alzerà al 25% i dazi su 60 miliardi di dollari di importazioni americane. Sono 2.493 i beni made in Usa colpiti dalle nuove barriere tariffare cinesi.

Così, sui mercati azionari, gli investitori già poco propensi a rischiare fin dal suono della campanella continuano a tirare i remi in barca facendo prevalere le vendite sulle piazze finanziarie di tutto il mondo, visto che ora l’escalation della guerra tariffaria non è più solo uno scenario, ma fino a nuovi dietrofront che potrebbero a questo punto essere avviati solamente dagli stessi Donald Trump e Xi Jinping (potrebbero incontrarsi il mese prossimo a margine del vertice del G20 ad Osaka dal 28 al 29 giugno), ma un fattore che inizierà a rosicchiare punti preziosi alla crescita dell’economia americana, cinese e, quindi, globale.

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Gli indici delle Borse europee, già deboli in mattinata dopo il nulla di fatto di venerdì fra le delegazioni dei due Paesi, hanno peggiorato al ribasso all'annuncio dei nuovi dazi da parte di Pechino, e Wall Street ha viaggiato in forte rosso. I timori di sell-off rimasti nell’aria venerdì si stanno materializzando oggi, anche perché oltre ad alzare al 25% dal 5-10% i dazi su 60 miliardi di dollari di importazioni americane, la Cina sta valutando altre misure che amplierebbero la controffensiva oltre al piano commerciale. 

Secondo quanto scrive su Twitter il direttore del Global Times, giornale in lingua sia cinese sia inglese che è espressione di Pechino, tra le misure allo studio del Dragone ci sono una riduzione degli ordini di Boeing, lo stop all'acquisto di prodotti agricoli ed energetici made in Usa (come il gas liquefatto) e la vendita dei Treasury che ha in portafoglio (che la rende il principale creditore degli Stati Uniti con 1.100 miliardi di dollari di debito in portafoglio). Un'arma potente, quest'ultima, da poter giocare nelle trattative, ma allo stesso tempo rischiosa: se la Cina dovesse infatti decidere di scaricare o di ridurre gli acquisti di Treasury le ripercussioni sarebbero mondiali, e il pericolo per Pechino sarebbe quello di perdere credibilità a livello globale. Un rischio, quindi, che Pechino potrebbe decidere di correre solo come ultima spiaggia. 

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L'account Twitter di Hu Xijin,  giornalista cinese ed editore del Global Times, è seguito anche a Wall Street, anche perchè quanto da lui scritto in un tweet venerdì scorso - il giorno in cui gli Usa hanno alzato dazi sulla Cina - è stato poi detto nel fine settimana dal vice premier cinese Liu He (il principale negoziatore cinese reduce dall'undicesimo round di negoziati conclusosi venerdì scorso a Washington).

Insomma, come preannunciato dai futures, gli investitori si preparano al peggio: a poco dala chiusura il Dow Jones perde il 2,7%, il Nasdaq cede oltre il 3,55% mentre lo S&P 500 lascia sul terreno il 2,7%. Fra le blue chips del Nyse, Boeing, che rischia di restare vittima della guerra dei dazi, affonda lasciando sul terreno il 3,23%. E anche Apple crolla (-5,62%), ma sull'andamento del titolo di Cupertino non pesa solo la guerra dei dazi fra Stati Uniti e Cina (lo scenario aumenta i costi di produzione del colosso tech che assembla gli iPhone nel Dragone), ma anche la sconfitta davanti alla Corte Suprema sull'azione legale di un gruppo di consumatori, che l'ha accusata di usare la sua posizione dominante per gonfiare i prezzi sull'App Store.

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A testimoniare il clima di tensione  fra gli investitori c'è anche l'andamento, sul mercato Usa, dell'indice "della paura" Vix, che balza del 28%. 

La soluzione sulla disputa commerciale, vista la forte reazione cinese, sembra allontanarsi. Certo, visti dati sull'interscambio commerciale, è Pechino a rischiare di più in termini di contraccolpo economico visto che la Cina esporta negli Stati Uniti cinque volte di più di quanto Washington vende al Dragone.

Washington minaccia ora nuove tariffe al 25% su altri 325 miliardi di dollari di merci esportate dalla Cina e Trump ha lanciato oggi l'ennesimo avvertimento a Pechino: se dovessero arrivare "ritorsioni sarà solo peggio", "dico apertamente al presidente Xi e a tutti i miei tanti amici in Cina che la Cina sarà gravemente colpita se non raggiunge un accordo perchè le aziende saranno costrette a lasciare la Cina per altri Paesi. Sarà troppo costoso comprare in Cina. Hai avuto un grande accordo, quasi completato, e sei indietreggiato", ha twittato il presidente Usa. 

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Secondo le elaborazioni, se Trump ora rispondesse ancora alzando il tiro e tassando del 25% tutte le importazioni cinesi negli Usa, provocando una ritorsione della stessa portata da parte di Pechino, l'economia americana registrerebbe una contrazione dello 0,5% del Pil Usa nel 2020, che porterebbe il Pil reale pericolosamente vicino all'1% e costerebbe agli americani circa 45 miliardi di dollari. Un danno soprattutto per gli agricoltori del Midwest e l'America rurale, proprio la parte del Paese che vive sulle esportazioni di soia verso l'Asia (la Cina è stata storicamente il principale importatore di semi di soia americana, su cui dallo scorso luglio sono imposti dazi. Pechino aveva promesso di acquistarne di più) e che più ha creduto nel tycoon newyorkese, portandolo alla Casa Bianca. Un settore che coinvolge undici milioni di lavoratori.

Per la Cina, invece, il danno sarebbe più grave e il Pil subirebbe una contrazione dell'1,3% dimagrendo a un tasso del 5% circa. Uno smacco anche politico per il nuovo condottiero a vita Xi Jinping. Sullo sfondo resta lo scenario peggiore ovvero quello che prevede una guerra commerciale globale, che dunque andrebbe al di là dello scontro tra Usa e Cina. Ma allo stato attuale, se la situazione non cambierà, a livello globale l'economia incorrerebbe in una frenata dello 0,5% nel 2020. Con ripercussioni sugli utili aziendali. Quindi, in Borsa è meglio vendere.  

twitter11@andreadeugeni