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Economia
Elkann vede Mattarella, ma ignora Meloni. John meno saggio del nonno Gianni
John Elkann, Sergio 
Mattarella e Giancarlo 
Giorgetti

Stellantis, Elkann vede Mattarella. Ignorata Meloni. John meno saggio del nonno Gianni Agnelli

Atteggiamento di sfida quello di John Elkann, presidente di Stellantis, che ieri si è materializzato a Roma ma non ha incontrato il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ma neppure il “ministro dell’Industria” Urso, come sarebbe stato naturale fare. La dinamica ricorda un po’ quella del più famoso nonno Gianni che però quando c’erano guai faceva venire Cesare Romiti per incontrare i vertici dello Stato e risolvere i problemi.

Ma Gianni Agnelli era molto più saggio del giovane ed inesperto Giovanni Elkann e così di giri ne ha fatti solo due: quello dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. Ma visto che c’era ha incontrato pure l'ambasciatore Usa in Italia Jack Markell, il comandante generale dell'Arma dei Carabinieri Teo Luzi (ci chiediamo a che titolo) e il governatore di Bankitalia Fabio Panetta.

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Ovviamente è stato detto che “gli incontri erano programmati da tempo” ma la tempistica, diciamo così, è alquanto sospetta. Si tratta di un vero e proprio schiaffo istituzionale che l’imprenditore ha voluto dare a Giorgia Meloni che dal Giappone, dove si trovava per il passaggio di consegne del G7, era stata critica con l’Ad di Stellantis Carlos Tavares.

"Ho letto di alcune dichiarazioni di Tavares, non ho trovato questa intervista e mi sarebbe sembrato curioso, l’Ad di una grande azienda dovrebbe sapere che gli incentivi non possono essere rivolti a una sola azienda e che abbiamo investito negli ecoincentivi; sempre aperti a chi porta posti di lavoro, se poi si ritiene che produrre dove costa meno il lavoro sia meglio, liberi di farlo", così il premier.

Ma anche Salvini era stato netto: “Con tutto quello che agli italiani è costata l'ex Fiat, l'attuale Stellantis è l'ultima che può imporre, disporre o minacciare". E poi ancora: “Diciamo che lo Stato ci è già entrato 18 volte con i soldi dei cittadini. Io sono per il privato, che faccia il privato ma è troppo comodo fare il privato come lo hanno fatto questi signori che poi hanno trasferito all'estero sedi e stabilimenti. Quindi non penso che lo Stato italiano possa accettare imposizioni da signori che con l'Italia hanno poco a che fare".

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Ma se Elkann un ministro leghista, Giorgetti, l’ha incontrato, Fratelli d’Italia è rimasta completamente esclusa dal giro. Nel frattempo anche i sindacati, tramite i segretari generali di Fim Cisl, Fiom Cgil e Uilm, Roberto Benaglia, Michele De Palma e Rocco Palombella sono stati completamente ignorati e alquanto lividi di rabbia hanno inviato un diktat alla Meloni per organizzare un incontro scegliendo anche il luogo, Palazzo Chigi: “al fine di aprire un tavolo di confronto puntuale sulla situazione degli stabilimenti italiani del gruppo e della rete di fornitura”.

Lo sgarbo istituzionale compiuto da Elkann segna tutta la distanza tra l’agire ponderato del nonno e l’irruenza sconsiderata del rampollo americano. Anche l’incontro con l’ambasciatore Usa è un segnale di sfida al governo, come dire che l’Italia è un feudo Usa in cui l’ambasciatore conta più del premier democraticamente eletto dagli italiani. Questo riapre anche antiche ferite sull’“Italia a sovranità limitata” uscita dall’ultima guerra mondiale.






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