Economia
Esclusivo/Generali, nuovo scontro Caltagirone-cda: i retroscena
Dopo due settimane dall'assemblea che ha ridisegnato la fisionomia del Leone, torna la tensione nel consiglio di amministrazione
Generali, stop al comitato strategico
Ennesimo colpo di scena nella partita di Generali. A due settimane di distanza dall’assemblea che ha confermato per il terzo mandato Philippe Donnet, si apre una nuova spaccatura tra la lista di maggioranza – che esprime dieci membri compresi l’amministratore delegato e il presidente Andrea Sironi – e quella di minoranza, rappresentata da tre membri, cioè Francesco Gaetano Caltagirone, Marina Brogi e Flavio Cattaneo. Oggetto dello scontro è la definizione dei membri dei cinque comitati interni al nuovo cda.
Secondo quanto può ricostruire Affaritaliani.it, la giornata di ieri era trascorsa in maniera tranquilla: sembrava ormai acclarato che a Cattaneo sarebbe stata affidata la presidenza del comitato “parti correlate”. Ma tutto è saltato in tarda serata, dopo che non si è trovato un accomodamento per la definizione dell'organismo strategico.
Fonti accreditate riferiscono che i tre consiglieri “dissidenti”, infatti, avrebbero proposto di ricostituire questo organismo voluto nel 2019 e poi di fatto caduto dopo le dimissioni di Francesco Gaetano Caltagirone e Romolo Bardin. La domanda a questo punto è: c’è margine per ricomporre la frattura?
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Le ragioni di Caltagirone
I consiglieri vicini a Caltagirone rammentano come una decisione di questo tipo sia necessaria per riequlibrare i poteri e arginare – a loro dire – il ruolo dell’amministratore delegato Donnet. Tra l’altro, proprio il comitato strategico era stato al centro di partite fondamentali come la definizione di Banca Generali e la partecipazione in Russia.
Non solo, a quanto risulta ad Affaritaliani.it il costruttore romano avrebbe appreso della decisione alle 20.30 di ieri sera. Di più: il neo-presidente Andrea Sironi non avrebbe preventivamente informato tutte le parti in causa della scelta di non procedere con la definizione di un comitato che avrebbe permesso di dare voce anche ai “pattisti”, che rappresentano poco meno del 45% dei voti complessivi portati in assemblea.
Per questo motivo, a quanto si apprende da fonti vicine a Caltagirone e agli altri due consiglieri del Leone, non stupirebbe se già oggi Ivass e Bankitalia chiedessero a Generali e al consiglio di amministrazione di chiarire come mai nei cinque comitati definiti ieri non vi sia nemmeno un rappresentante della minoranza.
Le ragioni della maggioranza del cda
D’altro canto, come fanno notare fonti vicine alla maggioranza del consiglio, è proprio la stessa Ivass a non apprezzare il comitato ad hoc per le operazioni strategiche. Era stata proprio l’Authority delle compagnie assicurative ad averne stigmatizzato l’impiego al tempo dell’operazione Cattolica. E dunque, aggiungono le voci, è per perseguire best practice europee e italiane che si è scelto di non proseguire con un organismo specifico.
La tensione però è alle stelle: Caltagirone e i “pattisti” accusano ancora una volta la maggioranza di non volerli coinvolgere nelle decisioni strategiche e di voler consegnare tutto il potere decisionale a Philippe Donnet, cui i maligni addebitano di essere troppo lontano – in senso fisico e figurato – da Trieste.
La maggioranza risponde che, dopo il 29 aprile, tutti i consiglieri hanno pari dignità e non ci sono più azionisti con maggiore o minore peso. E che l’atteggiamento tenuto da Caltagirone è più simile a chi, non ottenendo ciò che vuole, ribalta il tavolo e smette di giocare. Anche perché, assicurano dalla maggioranza, i comitati presentati ieri prevedevano tutti la presenza della minoranza e, in alcuni casi, la presidenza stessa veniva garantita ai pattisti. Ulteriore dato: nessun comitato aveva la previsione di contenere al suo interno un componente esecutivo, erano tutti non esecutivi.
La fine della concordia?
Dopo due settimane di pace, dunque, già il primo ostacolo che mina la stabilità della compagnia assicurativa che, tra l’altro, ha in pancia asset per oltre 600 miliardi, di cui 80-90 di debito pubblico italiano. Non esattamente un luogo in cui possa regnare malumore.