Euro sempre più giù? Festeggia Berlino.Più 8% i ricavi per le aziende tedesche
C’è da sperare che nel frattempo i prezzi al consumo non tendano a risalire più rapidamente portando a nuovo indebolimento del potere d’acquisto degli europei
E’ passato giusto un mese da quanto l’euro ha toccato il minimo degli ultimi 14 anni contro dollaro (a 1,0367, il 16 dicembre scorso), ma la valuta unica europea non sembra aver ancora ritrovato una salute eccessiva, mantenendosi appena sopra quota 1,071 con più di un 3% di recupero. Non potrebbe del resto essere diversamente. Anche se le aspettative legate alla nuova politica economica e fiscale che il presidente eletto Donald Trump ha promesso di inaugurare sono andate scemando con l’avvicinarsi dell’insediamento ufficiale alla Casa Bianca, previsto venerdì prossimo, al divergenza in termini di aspettative inflazionistiche tra Stati Uniti ed Eurolandia, così come sulla politica monetaria che sarà seguita dalla Federal Reserve (avviata verso nuovi rialzi dei tassi ufficiali da qui a fine anno) e dalla Bce (che proseguirà ancora per diversi mesi il programma di quantitative easing e non muoverà i tassi prima di un anno o due) restano troppo marcate.
Al riguardo, un report di Credit Suisse ha analizzato le sfide principali che le banche centrali saranno chiamate ad affrontare nel corso dei prossimi anni, giungendo alla conclusione che la sfida fondamentale a livello mondiale sarà quella di considerare quale direzione sarà assunta dalla politica monetaria, valutando pertanto la potenziale evoluzione di due scenari: un ritorno alla “normalità” pre-crisi, conseguenza di una riaccelerazione dell’attività economica che sconfessi definitivamente la tesi dell’inefficacia delle politiche monetarie stesse e la tendenza ad una “stagnazione secolare”, oppure al contrario un’estensione o un’amplificazione delle recenti tendenze di politica monetaria, legata al concretizzarsi dell’ipotesi della “stagnazione secolare” o a interventi di natura politica.
Ma cosa significa nel concreto il perdurare di una situazione di incertezza in merito alle politiche monetarie e, all’interno dell’eurozona, di contrasti tra i paesi membri in merito alla direzione che dovrebbe prendere l’azione della Bce, che favorirebbero nuove tensioni (e debolezze) dell’euro nei confronti delle principali valute mondiali?
Da un lato l’euro debole avvantaggia quelle economie, Germania in primis (ma anche Francia e Italia), che vedono una parte consistente del proprio Pil legata all’andamento delle esportazioni, dall’altra contribuisce a riaccendere il rischio di inflazione tramite il rialzo dei prezzi di prodotti importati come i prodotti energetici. L’Unione europea (Ue-28) pesa per il 15% degli scambi mondiali di merci (all’incirca quanto la sola Cina, che pesa il 15,5% del totale) e nel 2015 (cui si riferiscono gli ultimi dati Eurostat disponibili), quando l’euro aveva già mostrato segnali di debolezza oscillando tra 1,055 e 1,10, per poi chiudere l’anno a 1,0887 dollari, il volume degli scambi col resto del mondo aveva toccato i 3.517,2 miliardi di euro (di cui 1.790,7 miliardi riferiti a esportazioni e 1.726,5 miliardi a importazioni), con un surplus commerciale a favore della Ue di 64,2 miliardi a fine anno. Il 28,2% questa montagna di esportazioni ha fatto capo ad aziende tedesche, seguite dalle aziende del Regno Unito (12,9% dell’export Ue-28 totale), della Francia (10,5%) e dell’Italia (10,4%).
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