Economia

Influencer e codice di condotta, l’Agcom apre una consultazione pubblica. Ecco che cosa è cambiato dopo il Pandoro gate 

Il codice di condotta redatto da Agcom è stato messo in consultazione pubblica: ma quali sono le principali novità? E le zone ancora "grigie"? Affaritaliani.it ne ha parlato con Nicole Monte, salary partner di 42 Law Firm

di Marta Barbera

Il futuro dell'influencer marketing tra trasparenza, regolamentazione e tutela degli utenti

Era dicembre 2023 quando il Pandoro gate, lo scandalo che ha travolto Chiara Ferragni in un’operazione benefica “opaca”, ha portato Agcom (Autorità garante per le comunicazioni) a interrogarsi su due parole chiave in tema di comunicazione social: trasparenza e consapevolezza. Sulla rete i consumatori sono davvero tutelati? E il ruolo dell’influencer-promotore come può essere ulteriormente regolamentato? Perchè sì, prima del grande clamore mediatico, norme in tema di pubblicità e sponsorizzazione erano già vigenti, ma forse poco visibili.

A gennaio 2024 l’autorità ha quindi predisposto una serie di linee guida e un tavolo tecnico, dove sono stati coinvolti i principali player di settore (Assoinfluencer, Google, sindacati e associazioni di categoria). Un giro di vite da molti considerato un “buon punto di partenza” che si è posto l’obiettivo di garantire il rispetto delle regole condivise per rendere il settore dell’influencer marketing più responsabile e trasparente. Dopo la pubblicazione di una prima bozza, il nuovo codice di condotta è entrato ufficialmente nella fase di consultazione pubblica. Affaritaliani.it per capirne di più ha interpellato Nicole Monte, salary partner di 42 Law Firm.

A dicembre 2023 qualcosa cambia in termini di comunicazione social. Dopo lo scandalo del pandoro, Agcom ha iniziato a porsi delle domande. Possiamo dire che Chiara Ferragni ha rappresentato uno spartiacque tra un prima e un dopo?

La verità sta un po’ nel mezzo: è giusto dire che Agcom ha preso spunto dal Pandoro gate, ma è ancora vero che il tema dello scandalo prescinde da quelli che sono i risultati delle linee guida del tavolo tecnico e del nuovo codice di condotta. In realtà quello che ha fatto Chiara Ferragni ha avuto dei risvolti più relativi all’Antitrust e alle donazioni benefiche poco trasparenti. Agcom però da quel caso ha iniziato a muoversi, interrogandosi su come regolamentare meglio tutta l’industry digitale e pubblicitaria legata ai creator. Anche se un appunto va fatto: alcune norme della digital charts, il regolamento emanato da IAP (istituto autodisciplina pubblicitaria, ndr), venivano già utilizzate. Tra gli esempi più classici la dicitura #adv, #sponsor e #invitedby, tutti hashtag sdoganati da prima del 2023.

Se in parte la pubblicità era già regolamentata, qual è l’obiettivo del nuovo codice?

Lo scopo principale è la regolamentazione della trasparenza nei confronti degli utenti. Un discorso che si lega perfettamente alle normative europee che le piattaforme devono rispettare. Perché se da un lato la Commissione Europea chiede anche ai social network di non trarre in inganno gli utenti, facendo capire loro perché la variazione di un algoritmo lo porta a vedere un determinato contenuto, allo stesso modo la nostra autorità ha scelto di creare dei presidi in termini di comunicazione e utilizzo dei social stessi. In questi ultimi anni ci si sta interrogando su una regolamentazione dell’industry specifica, mirata a capire che cosa vede l’utente e perché, e sempre più spesso si guarda a chi sta dall’altra parte dello schermo come a un vero e proprio oggetto di tutela.

Consapevolezza, tutela e web: quanto ci si è invece soffermato sui minori, tra i soggetti più vulnerabili della rete?

L’attenzione nei confronti dei minori non arriva con il codice di condotta: per esempio già qualche anno fa il Garante della Privacy aveva avviato un procedimento nei confronti di TikTok in Italia perché non chiedeva l’età al momento dell’iscrizione. Allo stesso modo, normative come Digital Services Act impongono particolari presidi proprio a tutela dei minori. Tornando al codice, il tema è più che rilevante: viene dedicato un intero capitolo ai diritti fondamentali dei minori e alle altre categorie vulnerabili. Tra i vari divieti c’è quello di non arrecare danni fisici o morali ai minori, sfruttarne l'inesperienza o la credulità e manipolare la fiducia degli utenti. Poi c’è tutta una parte legata ai filtri e alla modifica dei contenuti. Anche se dei filtri non si è parlato tantissimo, si è posta maggiore attenzione sugli hashtag.

Il tema delle sponsorizzazioni sui social ha in effetti preso il sopravvento?

Sì, anche se in realtà bisognerebbe guardare e analizzare le singole casistiche per evitare di fare di “tutta l’erba un fascio”. Se un influencer stipula una partnership con un determinato brand per sponsorizzare un prodotto è ben contento, a differenza di quanto si possa pensare, di inserire la dicitura “adv”. Il tema Pandoro, per esempio, esula dal discorso inserimento o meno dell’hashtag: in quel caso l’indicazione adv non era stata inserita perché dietro quella campagna c’erano degli accordi relativi alle donazioni. Ma non solo. Diverso ancora è il caso dell’experience. Se a un influencer viene pagato ad esempio un viaggio a Parigi e gli vengono commissionate un numero specifico di stories “sponsored”, le altre effettuate per salutare, interpellare o mostrare qualcosa ai follower sono da considerare “adv” oppure no? Questo fa parte di quello che si può considerare ancora un’area grigia.

Nel codice, secondo lei, esistono ulteriori zone d’ombra?

Nel complesso il codice è un passo positivo: parla di correttezza delle informazioni, divieto alla violenza e alla discriminazione, di tutela dei minori e di maggiore trasparenza in termini di comunicazione e pubblicità. Ma un possibile problema – che è stato rilevato – è quello delle soglie. Oltre al codice di condotta, saranno sottoposte a consultazione anche due proposte di modifica delle Linee-guida elaborate dal Tavolo tecnico, abbassando le soglie per la definizione di influencer rilevante rispetto a quanto inizialmente previsto. In generale la normativa deve imporre un limite oggettivo di applicazione, in questo caso però il rischio è di introdurre una definizione che taglia fuori influencer più di nicchia che hanno un pubblico magari anche più attivo e fidelizzato, oppure viceversa creator che rientrano nella soglia e in verità non creano particolari volumi.

Il settore, dopo il già citato scandalo di un anno fa, ha avuto dei contraccolpi sia in termini di reputazione che di numeri?

Come in ogni settore vale anche qui il detto: ‘nel bene o nel male purché se ne parli’. E l’averne parlato, come detto prima, ha sicuramente consentito di avere delle norme, una regolamentazione ad hoc dell’industry e l’introduzione del codice ATECO. Passi avanti che hanno segnato una piccola svolta. Ciò che è certo è che il tramonto della figura dell’influencer non si sta verificando. Non c’è stata un’inversione in termini di numeri e investimenti. Si è parlato della bontà o meno della professione, ma la verità è che noi come utenti siamo talmente inseriti in questo sistema che davvero solo le norme possono un po’ tutelarci e farci capire perché ci appare un contenuto piuttosto che un altro. I social sono strumenti di comunicazione che oggi più che mai risultano necessari e solo grazie a una buona dose di consapevolezza e trasparenza si potranno compiere scelte più accurate. Non dimenticando come i minori, che hanno meno consapevolezza solo per una questione anagrafica, hanno diritto a una costante tutela. Un passo in tal senso è stato fatto da Meta: dal primo gennaio 2025 in Italia introdurrà gli account per teenager, che avranno di default delle limitazioni imposte dalla piattaforma stessa.