Economia

Il caso Fincantieri non è l'unico. Tutti i business bloccati dall'Ue

Luca Spoldi

Nell'ultimo decennio sono molte le operazioni saltate

L’Unione europea è tutto meno che unita quando si tratta di business. L’ultima dimostrazione, se ancora ve ne fosse stata necessità, giunge da Francia e Germania, che hanno deciso di chiesto alla Commissione Ue (che ha accolto la richiesta) di esaminare l’acquisizione da parte dell’italiana Fincantieri (oggi pesante in borsa a Milano) della francese Chantiers de l’Atlantique. Un’operazione i cui razionali industriali nessuno sembra mettere in discussione ma su cui sono scattate interferenze politiche legate al crescente clima di tensione tra Italia e Francia.

 

Come noto i presupposti per l’operazione risalgono al 2016 quando, a seguito del fallimento della coreana Stx, azionista di riferimento dei cantieri di Saint-Nazaire dove si sviluppano commesse per navi da crociera e per la marina militare francese, l’italiana Finantieri provò a rilevare i due terzi del capitale. Inizialmente “benedetta” da Holland e Renzi che volevano così dar vita al “Airbus dei mari”, con l’arrivo di Macron l’operazione segnò un primo marcato rallentamento.

 

Rinegoziati i pesi (con Fincantieri che ha accettato di rilevare solo il 50% di Stx ricevendo “in prestito” dallo stato francese un ulteriore 1%), solo nel settembre del 2017 l’operazione aveva ricevuto un primo via libera, cui se ne era aggiunto un secondo nell’ottobre dello scorso anno quando, su insistenza francese, l’alleanza aveva finito col comprendere anche Naval Grop estendendosi alle navi militari.

 

Da allora, tuttavia, le frizioni tra Roma e Parigi sono andate aumentando, sino all’ultimo scambio di battute al vetriolo tra i vicepremier italiani Matteo Salvini e Luigi Di Maio e il ministro francese degli Affari Ue, Nathalie Loiseau, attorno alla vicenda dei “gilet gialli”, ora questo “altolà” di Parigi e Berlino ad un’operazione da cui avrebbe dovuto nascere “l’Airbus dei mari” con la scusa della possibile minaccia alla concorrenza. Un intervento a gamba tesa che secondo molti analisti, tra cui quelli di Banca Akros “è probabile che porti ad un allungamento dei tempi e pone una minaccia sul positivo esito dell’operazione”.

 

Non è del resto la prima volta che in Europa operazioni transfrontaliere vengono bloccate, sacrificandole ai diktat della politica. Nel 2006 fu il governo italiano, ad esempio, ad opporsi alle nozze tra Atlantia e Abertis (promosse dagli spagnoli), poi avvenute lo scorso anno ma con ruoli invertiti (a comprare sono stati gli italiani). Due anni dopo il governo francese varò in tutta fretta una fusione tra Gaz de France-Suez per bloccare un’Opa “ostile” di Enel sulla stessa Suez: con tale operazione lo stato frencese, socio all’80% di GdF, divenne socio al 35% di GdF-Suez.

 

Il nuovo colosso per evitare una sonora multa l’anno successivo dovette impegnarsi con l’Antitrust Ue a favorire la concorrenza sul mercato francese del gas ed in particolare a dimezzare entro il 2014 il suo utilizzo delle capacità di trasporto della sua rete di gasdotti (e a non risuperare tale soglia fino a tutto il 2024). Nel 2016 sempre l’Antitrus Ue bloccò del tutto l’acquisizione del gestore telefonico britannico O2 UK da parte della cinese Hutchison, che dovette anche impegnarsi a cedere una serie di attività sufficienti a consentire l’ingresso sul mercato italiano di un nuovo gestore mobile (Iliad) per poter avere il via libera alla fusione di Wind e Tre, impegni riabditi poi due anni dopo al momento dell’acquisizione della partecipazione della russsa Veon (l’ex VimpelCom) che portò il gruppo cinese al 100% nella stessa Wind Tre.

 

Nel 2017 l’Antitrust Ue chiede alla britannica Lse (che controlla Borsa Italiana) di cedere la quota di controllo del Mts (il mercato telematico dei titoli di stato) per ottenere il via libera a rilevare Deutsche Boerse e creare la prima borsa europea, ma in questo caso gli inglesi rifiutarono e la fusione sfumò. Secondo molti, in ogni caso, se anche Lse avesse accettato vi era il concreto rischio che si mettesse di traverso lo stato italiano, preoccupato del possibile passaggio del controllo di Mts ad Euronext (la controllata di Deutsche Boerse attiva sul mercato dei titoli di stato).

 

Sempre l’Italia ha attivato, ancora nel 2017, il “golden power” in Telecom Italia, impedendo a Vivendi, socio che col 23,5% esercitava il controllo di fatto e che contemporaneamente era salita al 28,8% (29,9% dei diritti di voto) di Mediaset, di varare una fusione a tre allo scopo di creare una “anti-Netflix” del Sud Europa a guid francese. La Germania da parte sua ha da poco rafforzato le difese contro scalate “ostili” dopo che Kuka, il principale produttore al mondo di robot, è stato rilevato dalla cinese Midea in assenza di un “cavaliere bianco” tedesco pronto a scendere in pista: d’ora in poi ora basterà superare la soglia del 10% perché Berlino possa esercitare il proprio “golden power” e bloccare il trasferimento di tecnologie e know-how o la cessione di asset strategici per il paese.

 

L’elenco potrebbe proseguire, ma la morale è chiara: quando la politica scende in campo non c’è unione che tenga e i razionali industriali ed economici da soli non garantiscono la riuscita di un’operazione transnazionale. A meno di non accettare robuste misure compensative: sarà il caso del futuro “Airbus dei mari” e nel caso a cosa dovrà rinunciare Giuseppe Bono per ottenere un via libera definitivo, a tre anni dall’apertura del dossier Saint-Nazaire?