Il Ceo Danone: "La mano invisibile del mercato? Non esiste"
Danone, il Ceo Emmanuel Faber critica il sistema capitalistico ed esalta le doti della giustizia sociale.Che serve anche al corretto funzionamento dell'economia
di Andrea Deugeni
@andreadeugeni
Ma quale mano invisibile del mercato che, attraverso la concorrenza, rende i prezzi più equi e più accessibili. Serve la giustizia sociale, perché "quello che so, dopo 25 anni di esperienza, è che le uniche mani che esistono sono le nostre. Mani che sono tante e servono soltanto per migliorare e cambiare le cose". Da chi arriva la dura critica al capitalismo e ad Adam Smith, uno dei padri della scienza sociale triste, così come viene spesso definita l'economia? Non da un'economista marxista come l'ex ministro ellenico delle Finanze Yanis Varoufakis o da Papa Bergoglio, ma dal numero uno della Danone, Emmanuel Faber, manager da quasi 5 milioni di euro all'anno di stipendio e alla guida di uno dei principali gruppi del Cac40 (l'indice borsistico parigino).
C'è da stupirsi? Forse solo in un primo momento, perché a ben guardare la storia e i comportamenti di Faber le sue parole da capitalista pentito sono credibili. Di fronte alla cerimonia di laurea degli studenti della Hec, la prestigiosa facoltà parigina di economia e commercio, il numero uno della Danone non ha spiegato agli esponenti della futura classe dirigente francese come far carriera e guadagnare una paccata di soldi, ma come portare avanti la giustizia sociale, perché solo attraverso questa si riuscirà, in ultima battuta, a salvare anche l'economia. Un'attenzione al sociale, dunque, che è anche intelligente e utile perché "solo così si alimenteranno e si preserveranno i risparmi, il clima e, alla fine, il regolare funzionamento dell'economia".
Sempre di fronte ai giovani virgulti transalpini, Faber, spesso criticato in patria per il suo mega stipendio, ma che devolve in beneficenza la parte variabile del suo salario, vaggia con Ryanair e in Clio, non indossa orologi di lusso o cravatte chic e trascorre le sue vacanze nel piccolo Paese dov'è nato (Hautes-Alpes), ha spiegato che la sua visione, decisamente eterodossa, dell'economia gli deriva dalla sua storia personale familiare. A partire da un "fratello malato di schizofrenia, ricoverato più volte in un ospedale psichiatrico".
"Quando fu rinchiuso per la prima volta - ha raccontato con un pizzico di (comprensibile) emozione il manager - la mia vita è cambiata". Una storia travagliata che si è conclusa cinque anni fa con la morte del fratello. "Ho imparato ad apprezzare le piccole cose e ho capito che possiamo essere felici con pochissimo", ha sottolineato Faber riferendosi ancora alla "bellezza della diversità" che il fratello gli ha fatto scoprire. Così, "il potere ha senso solo se lo si utilizza a servizio degli altri", una leva da azionare per far sì che "la globalizzazione alla fine riesca a vincere la sfida della giustizia sociale".
Faber ha raccontato infine di essere stato nelle "periferie di Delhi, Mumbai, Nairobi, Jakarta. Sono stato anche nello slum di Aubervilliers, non lontano da Parigi, e nella giungla di Calais". "Noi ricchi, privilegiati - ha concluso - siamo in grado di scalare pareti sempre più alte (...), ma nulla può fermare coloro che più di tutti hanno bisogno di condividere".