Economia
Intesa, Ubi: dura lettera di Jannone e l'esposto in Consob
Jannone: contesta i contenuti del “Piano Industriale 2022 aggiornato” di UBI irrealizzabili dopo, gli effetti della Pandemia Covid 2019
Ubi-Intesa, la dura lettera di Giorgio Jannone, tema di cui si discute è l’offerta che banca Intesa ha avanzato per comprare UBI banca. Secondo Jannone il consiglio d’Amministrazione, e in particolare l’AD Viktor Massiah, potrebbero aver commesso reati come false dichiarazioni al mercato
Una durissima lettera e un esposto, scritti su mandato del Direttivo dell’“Associazione Azionisti UBI Banca”, “alla luce delle recenti pubbliche e reiterate dichiarazioni di esponenti apicali del Gruppo UBI nonché a seguito delle allarmanti notizie pubblicate dalla stampa nazionale ed internazionale” , quella inviata dal presidente Giorgio Jannone alla Consob, al Cda di UBI Banca e alla società di revisione incaricata Deloitte & Touche S.p.A.
Molti degli argomenti erano già stati affrontati nelle domande poste da Jannone nel corso dell’ultima Assemblea dei Soci , domande a cui non era stata data dagli organi statutari della Banca alcuna risposta esaustiva. Ma se letti ora, quei quesiti rivelano un qualcosa di profetico. Si contestano con vigore i contenuti del “Piano Industriale 2022 aggiornato” di UBI che, secondo Jannone, non ha tenuto in debita considerazione le comuni previsioni prospettiche delle principali istituzioni economiche, nazionali (Banca d’Italia, Istat, Confindustria, etc.) e mondiali (tra le altre, Fondo Monetario Internazionale, Unione Europea, agenzie di rating, etc.).
Un Piano Industriale che “è stato costruito su pilastri già altamente discutibili prima, e chiaramente irrealizzabili dopo, gli effetti della “Pandemia Covid 2019”. Appare di conseguenza davvero velleitario il mantenimento degli obbiettivi di stabilità economico-patrimoniale e persino di distribuzione di dividendi paventata al mercato, agli azionisti ed agli stakeholders”. Il tutto in contrasto con le previsioni delle principali agenzie: da Moody’s a Fitch. Nella lettera, di cui ci è pervenuta copia, un durissimo atto di accusa : “Il Piano Industriale presenta risultati universalmente ritenuti eccessivamente ottimistici, tra l’altro nell’ambito di un contesto delicatissimo, in cui gli azionisti sono chiamati a scegliere, anche sulla base delle informazioni da Voi diffuse, se accettare o meno le condizioni poste dall’OPS proposta da Intesa San Paolo”. Nella missiva si chiede poi per quali ragioni tecnico-contabili le riserve di valore, definite dal management di UBI Banca “tesori nascosti”, sono magicamente comparse nell’aggiornamento al Piano Industriale e non nel Piano Industriale originario o nelle poste dei bilanci di esercizio precedentemente approvati.
E ancora se è corretto dichiarare pubblicamente agli azionisti che è in itinere una proposta di fusione/aggregazione entro fine anno (mancano 5 mesi), quando l’Autorità Garante della Concorrenza del Mercato, nel provvedimento del 16 luglio u.s. con il quale ha autorizzato con condizioni l’OPS (oggi OPAS) di ISP su UBI, ha rilevato che “Nel corso dell’istruttoria UBI, sostenuta sul punto da Unicredit, ha affermato di essere l’unico possibile soggetto aggregatore di istituti bancari, alternativo ad ISP e Unicredit e, per conseguenza, di essere l’unico operatore in grado di raggiungere dimensioni paragonabili a quelle dei principali player italiani (ISP e Unicredit) e di competere alla pari con loro. … Al riguardo, occorre rilevare come agli atti del fascicolo istruttorio, e in particolare dalla documentazione fornita dalle Parti, non sono emerse evidenze, né certe né univoche, in merito alla reale possibilità di UBI di costituire un terzo polo bancario – diventando il soggetto aggregatore di medie realtà bancarie italiane quali ad es. BPER, MPS, BPM – in quanto gli elementi controfattuali forniti dalle Parti si limitano a mere ipotesi di lavoro relative a fasi molto preliminari di progetti di aggregazione di UBI con altri operatori, non condivise o presentate né a livello di CdA, né di assemblea.”
Jannone poi ricorda che: “La sottovalutazione dei rischi da parte della governance di UBI ha portato infatti l’agenzia Fitch a declassare il debito di UBI fino a portarlo sotto la soglia di not investment grade (c.d. junk/spazzatura) proprio a causa della qualità degli attivi di UBI”. La lettera dell’Associazione Azionisti UBI riprende poi un vecchio cavallo di battaglia, il caso ”Ubi Banca International” e “Parvus”. A proposito si legge che “nelle ultime settimane numerosi quotidiani nazionali hanno riferito notizie in merito alla pendenza di indagini penali che coinvolgono Parvus Asset Management Europe Ltd in qualità di azionista di UBI Banca S.p.A. e, più in particolare, a rapporti che sarebbero intercorsi tra Parvus e Ubi Trustee S.A., ancora oggi appartenente al Gruppo UBI (fino al 02 Novembre 2017 Ubi Trustee S.A. era controllata da Ubi International S.A.). Nel corso dell’Assemblea dei Soci di UBI dell’8 Aprile 2020 avevo chiesto espressamente se UBI Banca o le sue controllate intrattenessero rapporti di natura patrimoniale economico finanziari o creditizi di qualsiasi tipologia con il fondo Parvus Asset Management Europe LTD o con il titolare del medesimo fondo, Edoardo Mercadante, che risulta essere referente ufficiale dell’8,6% del capitale di UBI Banca a titolo di gestione non discrezionale. La speranza che venga fatta luce sulle ombre che aleggiano sulla nostra Banca riguarda altresì da anni Ubi International S.A. e Ubi Trustee S.A. , anche in merito ad un presunto coinvolgimentonella cartolarizzazione di crediti collegati indirettamente alle organizzazioni criminali della ‘ndrangheta.
A riguardo, tra i moltissimi articoli di stampa, In data 08.07.2020 “Milano Finanza”, riprendendo l’autorevolissimo “Financial Times”, ha pubblicato una inquietante inchiesta dal titolo: “Quei bond in odore di ‘ndrangheta e la strada che porta a Bergamo”-“un’operazione complessa di cartolarizzazione con sottostanti fatture emesse in alcuni casi da società in mano alla malavita calabrese è finita nei portafogli di investitori finali, secondo il ft. il veicolo estero che ha effettuato l’operazione è legato a Ubi”. Sul punto siamo in attesa di una nota di chiarimento da parte degli Apicali della Banca del Gruppo UBI interessata dall’inchiesta del Financial Time, rimandando ai nostri precedenti atti inerenti la repentina ed ingiustificata cessione della controllata UBI International SA (cessione immediatamente successiva ai nostri esposti) ed al documentato coinvolgimento di UBI Trustee nello scandalo “Panama Papers” di Panama”.
Ma la parte forse più aggressiva della missiva di Jannone la riserva alla netta opposizione della governance di UBI all’OPS di Intesa San Paolo. Si legge : “In merito alle spese sostenute per la campagna pubblicitaria ‘LA FIDUCIA NON SI COMPRA’ stigmatizziamo la scelta del management di destinare ingenti somme di denaro della nostra Banca per opporsi, senza alcuna preventiva autorizzazione dell’Assemblea dei Soci, all’OPS di Intesa Sanpaolo.”. Gli Amministratori pro tempore della Banca hanno il dovere di garantire una sana e prudente gestione e, soprattutto, di astenersi da ogni azione relativa all’OPS, salvo il caso in cui l’Assemblea dei Soci non li autorizzi specificamente. Cosa che non è avvenuta”. Si passa poi alle motivazioni dell’esposto alla Consob presentato dai legali di Jannone in merito alle presunte scorrettezze ai danni degli azionisti UBI e dell’OPS perpetrate negli sportelli IBI.
“Sul punto, evidenziamo che ci sono state segnalate non poche difficoltà operative nell’adesione all’OPS, sia perché le banche presso cui sono collocati i titoli non hanno comunicato ai Soci-azionisti di UBI la possibilità di aderire all’OPS, sia per le procedure poco chiare, e particolarmente macchinose quanto concerne i soli sportelli di UBI, di adesione (con particolare riferimento all’obbligo di recarsi di persona, oltretutto in situazione emergenziale, presso gli sportelli UBI, alla limitazione degli orari di effettiva operatività, alla gestione delle ferie dei dipendenti UBI, etc.).Gravissime, invece, risulterebbero, le condotte, di cui si trova eco nei media, di alcuni dipendenti di UBI che avrebbero consigliato ai clienti-azionisti di non aderire all’OPS. Se ciò fosse vero, riteniamo doveroso ricordare il rischio a cui si sarebbero esposti i dipendenti della Banca nel dare suggerimenti vietati, non solo per le conseguenze “regolatorie”, ma anche per la possibilità degli azionisti di agire nei confronti del gestore che, in conflitto di interessi, avesse suggerito un’operazione anti-economica per l’azionista. La responsabilità civile del gestore nei confronti dell’azionista si riverbererebbe poi immediatamente sulla Banca.”
E ancora “Tra i nostri associati annoveriamo dipendenti del Gruppo UBI Banca. Sappiamo pertanto con certezza che il PIANO FERIE 2020 è stato predisposto durante il mese di Aprile u.s. Considerato che ad Aprile 2020 Intesa San Paolo aveva già comunicato al mercato l’Offerta Pubblica di Scambio sulle azioni di UBI Banca, e che il mese durante il quale tale offerta si sarebbe svolta doveva essere il mese di Luglio 2020, chiediamo come sia possibile che sia stato approvato il Piano Ferie 2020 senza tenere in debita considerazione lo sviluppo dell’Offerta di Scambio? Ci risulta ora che l’Azienda per far fronte alle scontate e prevedibilissime esigenze abbia dovuto revocare le ferie a circa 500 dipendenti, mettendo in difficoltà gli stessi lavoratori e le relative famiglie. Il management e la governance di UBI Banca erano convinti, allorquando hanno approvato il Piano Ferie, di riuscire ad impedire e/o posticipare, così come ha tentato con tutti i mezzi possibili e senza autorizzazione alcuna da parte dei Soci, lo svolgimento dell’Offerta? Non si spiega altrimenti. Come è possibile, avendo al tempo a disposizione tutte le informazioni possibili, venire a trovarsi in una situazione oggettivamente incresciosa che, come detto, pone in difficoltà centinaia di famiglie? In un anno travagliato, i dipendenti di UBI Banca hanno dimostrato il proprio attaccamento alla banca, anche e soprattutto durante la pandemia.
Arrivato il momento delle meritate ferie devono subire anche questo (mal)trattamento? Da ultimo va considerato che le spese finalizzate a rimborsare i dipendenti ai quali sono state revocate le ferie saranno ancora una volta, per un evidente errore gestionale, a carico di tutti i Soci. Infine, dopo aver preannunciato azioni legale risarcitorie nei confronti degli amministratori di UBI e della società di revisione incaricata, la stoccata finale è riservata alle contraddittorie prese di posizione del Cda di UBI contro l’OPS: “il Consiglio di Amministrazione di UBI Banca sarà chiamato a prendere nei prossimi giorni ,con riferimento al rialzo dei termini dell’Offerta che Intesa San Paolo ha comunicato in data 17.07.2020, riteniamo che questa decisione, rivolta agli azionisti, possa essere legittimamente presa considerando che la maggioranza dei consiglieri di amministrazione di UBI Banca è espressione delle Fondazioni e dei Patti che si sono già dichiarati all’unanimità favorevoli all’Offerta o, addirittura, oltre ad esserne espressione, risultano essere azionisti aderenti a patti che hanno dichiarato all’unanimità la propria adesione all’Offerta di Intesa San Paolo.
Tra questi sono presenti gli stessi soggetti che si sono avvalsi delle relazioni favorevoli di advisor incaricati, il cui parere positivo all’OPS non può quindi ora essere ignorato. In questo ambito un effetto la durissima lettera di Jannone lo ha già ottenuto. Il consigliere Gussalli Beretta, che ha dichiarato di aderire all’OPS non si è presentato alla convocazione del Cda, un’assenza più che giustificata.
Fonte: Michelangelo Bonessa, Osservatorio Meneghino