Di Maio, Renzi, Silvio e Salvini. Le proposte? Belle e impossibili
Le promesse elettorali italiane costano care e non convincono i mercati, per fortuna non potranno essere realizzate tutte
Il risultato delle elezioni politiche italiane del prossimo 4 marzo "è, ad oggi, molto incerto poiché nessuno dei principali partiti politici potrebbe ottenere una maggioranza assoluta in Parlamento", come ricorda Matteo Ramenghi, chief investment officer di Ubs WM Italy, ma i tre scenari più probabili appaiono essere, nell'ordine: una grande coalizione centrista, un governo tecnico sostenuto da un'ampia coalizione e un ritorno alle elezioni.
Improbabile vinca un singolo blocco. Alla vittoria alle elezioni politiche di un singolo blocco o di una coalizione anti-euro, Ramenghi assegna probabilità molto basse. Ma quale sarebbe la reazione dei mercati se dalle urne uscisse un risultato netto a favore di uno dei principali schieramenti, che provasse a quel punto a tener fede a promesse elettorali il cui costo complessivo, dopo solo pochi giorni di campagna, supera già i 200 miliardi di euro ed appare pertanto insostenibile (perché rappresenterebbe un deficit di bilancio pari al 9% del Pil) se non accompagnato da coperture finanziarie più che robuste?
Ovviamente non tutte le promesse elettorali potrebbero diventare legge, visto che sono concorrenti tra loro. Se si venissero a creare le condizioni per una grande coalizione centrista, la proposta di abolizione del canone Rai (1,8-2 miliardi di gettito fiscale all'anno) e quella di abolizione del bollo auto (altri 3 miliardi di gettito), avanzate rispettivamente dal Pd e da Forza Italia, potrebbero forse essere tramutate in legge, ma le difficoltà con cui in questi anni si è proceduto all'abolizione dell'Imu sulla prima casa, il cui "costo" (4,5 miliardi) è sostanzialmente analogo a quello delle due proposte di cui sopra, fanno capire come potrebbe essere tortuoso il sentiero che porterà a un simile taglio.
Per la verità la strada potrebbe essere in discesa se, considerando che la ripresa è ormai consolidata, il futuro governo decidesse di ridurre il ricorso al "bonus" Irpef da 80 euro, il cui costo (circa 10 miliardi di euro l'anno) è andato lievitando per l'ampliamento della base dei soggetti "eligibili". Dimezzare la base degli aventi diritto, ad esempio, darebbe uno spazio di manovra più che sufficiente per procedere all'abolizione sia del canone Rai sia del bollo auto e visti gli scarsi, per non dire nulli, effetti "strutturali" che sin qui il bonus ha ottenuto, il gioco potrebbe valere la candela.
Tutt'altra musica se si volesse davvero procedere ad una riforma dell'Irpef sulla base della "flat tax" cara sia a Matteo Salvini (Lega) sia a Silvio Berlusconi (Forza Italia), ma che difficilmente il Pd potrebbe mai sposare se non altro perché rischia di ledere il principio costituzionale di progressività fiscale. In ogni caso il costo, stimato tra i 37 e i 40 miliardi l'anno (1,7%-1,8% del Pil), renderebbe necessario trovare coperture che, oltre all'eventuale azzeramento del bonus Irpef e al ricorso a qualche nuova privatizzazione, difficilmente potrebbe non toccare la sanità e forse anche la previdenza pubblica.
(Segue...)