Economia

Mediobanca e quelle lucrose commissioni attorno a Unipol

Piazzetta Cuccia non è più il vecchio salotto finanziario: la logica industriale ha affiancato quasi del tutto i vecchi paradigmi. Solo in Rcs Mediagroup....

di Luca Spoldi 
e Andrea Deugeni

Il cantiere Unipol Banca è in piena attività e, tra Npl da collocare e matrimonio da celebrare con altre realtà creditizie (il mercato scommette su Bper Banca, dopo che la capogruppo Unipol si è portata poco sopra il 15% nel capitale dell’istituto emiliano), per gli intermediari che saranno incaricati di curare le varie operazioni si prospettano interessanti commissioni, anche perché una volta ripulita e accasata Unipol Banca, la capogruppo potrebbe accorciare la catena di controllo varando anche una fusione con UnipolSai.

mediobanca
 

Non è dunque un caso che Mediobanca abbia chiesto all’Antitrust (e l’authority abbia acconsentito a esaminare la richiesta) di rivedere le misure imposte nel 2012 a Piazzetta Cuccia nell’ambito del suo ruolo di advisor nell’operazione di salvataggio del gruppo FonSai (l’attuale UnipolSai) da parte di Unipol stessa. Da allora sono passati solo sei anni, ma potrebbero essere sei secoli per come è cambiata la ragnatela di rapporti che l’istituto un tempo guidato da Enrico Cuccia aveva ed ha via via modificato.

Cosa resta del “salotto buono” costruito pazientemente da Cuccia e poi custodito da Vincenzo Maranghi prima e da Alberto Nagel poi? Non molto, in realtà, e spesso ciò che resta è dovuto più allo sviluppo di una logica di partecipazioni incrociate legate a precisi vantaggi reciproci in termini industriali e strategici più che ad “apparentamenti” nati nell’ottica del consolidamento di rapporti di potere, all'insegna del meccanismo delle partecipazioni incrociate.

Mustier
 

Certamente nei confronti di Carlo Cimbri, numero uno di Unipol, Nagel e Mediobanca vantano ancora un notevole credito visto che senza l’intervento-pressing della banca milanese (particolarmente esposta con entrambi i gruppi assicurativi) forse i Ligresti non avrebbero mai accettato di uscire di scena e cedere Fondiaria-Sai al gruppo bolognese.

Cimbri, tramite UnipolSai, è poi tra i soci (al 28,5%) di Fin.Priv. Srl, a sua volta tra i sottoscrittori dell’accordo per la partecipazione al capitale di Mediobanca, destinato a scadere entro la fine del prossimo anno, con l’1,62% del capitale. Per il resto, però, i legami dell’ex salotto si sono molto allentati.

carlo cimbri
 

In Rcs Mediagroup, ex stanza dei bottoni e di compensazione della finanza tricolore che edita il blasonato Corriere della Sera, dopo lo scontro di metà 2016 che ha visto contrapposti Urbano Cairo (poi vincitore) e Intesa Sanpaolo (suo principale sponsor), Mediobanca è tuttora azionista di peso col 9,93% nel capitale, subito alle spalle dello stesso imprenditore alessandrino (primo socio col 59,831%) e prima di Diego Della Valle (che dal patto di Mediobanca uscì fin dal 2011) col 7,325% e di Finsoe, holding di controllo della stessa Unipol e socia al 4,891%.

Dopo lo battaglia in Via Solferino a suon di Opa e contro-Opa fra Cairo e la testa di ariete di Andrea Bonomi, appoggiato da Piazzetta Cuccia, Nagel ha ricucito i rapporti in un'ottica di realpolitikessere nel libro soci del gruppo che edita il primo quotidiano italiano è sempre buona cosa (per non avere trattamenti ostili) ed, infatti, anche se la partecipazione sia stata catalogata come avaible for sale (non strategica), il Ceo di Mediobanca non se n'è ancora liberato, nonostante il valore della quota nei mesi scorsi abbia superato per un momento il prezzo di carico in bilancio. 

corriere della sera rcs
 

Resta in piedi un’altra “catena di controllo”, quella che unisce Unicredit con Mediobanca e Generali: la banca guidata da Jean Pierre Mustier partecipa al patto di Mediobanca di cui possiede l’8,41%, cosa che stride con la concorrenza che Piazzetta Cuccia fa alla divisione Corporate e invesment banking (Cib) del gruppo creditizio di piazza Gae Aulenti. Tanto che più volte in passato si è vociferato di un interesse, sempre smentito, da parte di Unicredit stessa per arrivare a una fusione che avrebbe potuto vedere Nagel (in corsa per il post-Ghizzoni assieme allo stesso Mustier) promosso al ruolo di responsabile di tutto il business del nuovo gruppo.

Philippe Donnet
 

Quanto a Generali, Mediobanca continua a detenerne il 12,95%, nonostante le reiterate dichiarazioni di voler scendere al di sotto della soglia del 10%, ma con un prezzo di carico che dovrebbe aggirarsi sui 14,5 euro vendere ora, direttamente sul mercato o tramite la costituzione di una sub-holding in cui Mediobanca resterebbe socia al 51%, non sembra la strategia più redditizia, specie se non ci fossero in vista nuovi investimenti in grado di rendere almeno quanto quello nel Leone di Trieste (che lo scorso anno ha garantito circa un 17% di ritorno complessivo, offrendo al momento un dividend yield del 6%).

gilberto benetton
 

Chi non intende proprio ridurre, anzi incrementa (un po' controcorrente rispetto alle nuove dinamiche del capitalismo tricolore che punta tutto sul proprio core-business) la propria partecipazione in Generali è il gruppo Benetton: presenti nell’accordo parasociale di Mediobanca col 2,1% di capitale, il gruppo di Ponzano Veneto, attraverso Edizione Holding nell'era Patuano, è anche salito lo scorso aprile al 3,04% in Generali, ad un soffio dalle partecipazioni di azionisti “storici” come Caltagirone (salito sempre lo scorso aprile al 4%) e Del Vecchio (fermo al 3,15%) e pare che abbia intenzione a crescere sino a ridosso del 5%. 

francesco gaetano caltagirone
 

I Benetton hanno poi un ulteriore “incrocio” con altri gruppi nell’orbita di Mediobanca, quello in Caltagirone Editore (2,24%). Tra agli altri partecipanti de “salotto”, Enni Doris e Silvio Berlusconi sono presenti nel capitale di Piazzetta Cuccia rispettivamente col 3,28% di Mediolanum (cui Doris aggiunge uno 0,21% tramite la holding di famiglia Fin.Prog.) e con lo 0,97% di Fininvest.

Doris stesso, peraltro, ha ipotizzato che con la fine del patto parasociale lo storico salotto meneghino possa trasformarsi in una “public company”, dove dunque le azioni cesserebbero di “pesarsi” e le alleanze andrebbero definitivamente in direzione di interessi industriali e reddituali, più che di gestione del potere.

urbano cairo
 

Se sarà o meno così lo sapremo non prima di 18 mesi, sino ad allora i più maliziosi continueranno a chiedersi che senso abbia per una banca o un'assicurazione esser presente nel capitale di un editore, o per un immobiliarista essere presente in un’assicurazione.

Salvo, ovviamente, gli aspetti puramente finanziari più volte indicati come unica motivazione del permanere di rapporti le cui origini affondano nei rapporti storici tra le grandi famiglie dell’economica italiana a partire dal secondo dopoguerra, se non prima ancora.