Economia
Mediobanca, la prudenza di Nagel. Crescita? Senza vendere Generali
"Lo scenario del piano è che la quota di Generali rimanga intatta", dice il Ceo di Piazzetta Cuccia. Ecco perché
Alberto Nagel non si smentisce e non sorprende il mercato, come dimostra la reazione positiva ma composta del titolo (in crescita a metà pomeriggio dell’1,45% contro il +1,15% del Ftse Mib) dopo la presentazione del nuovo piano industriale 2020-2023. Nel prossimo quadriennio, infatti, a fronte di una crescita media composta annua del 4% dei ricavi e degli utili, a dare il maggior contributo continuerà ad essere Compass (credito al consumo), che a fine piano dovrebbe rappresentare ancora il 38% degli utili scontando una crescita media del 3% all’anno.
Maggiore spinta verrà dalle attività di corporate&investment banking (su cui Leonardo Del Vecchio consigliava di puntare tutte le fiches), viste in crescita del 6% annuo ma dalle quali ci si aspetta un Roac (ritorno sul capitale allocato) di solo il 16%, ma soprattutto del wealth management (obiettivo un Roac del 25%), visto in crescita dell’8% medio annuo grazie ad una crescita della rete di vendita di CheBanca! (Roac atteso del 25%-30%) prevista attorno al 60% oltre che ad acquisizioni che il management di Piazzetta Cuccia continuerà a valutare “così come avvenuto nell’arco dell’ultimo piano”.
Per cogliere eventuali opportunità Nagel è pronto a cedere anche, ma solo in parte (non si parla più di una percentuale specifica), la partecipazione in Generali trattandosi di “risorse disponibili ed attivabili in caso di operazioni di crescita”. A patto, precisa Nagel, che le potenziali prede siano aziende in grado di “accelerare il processo di crescita nelle aree di attività caratteristiche”, con preferenza “per i business a basso assorbimento di capitale e elevato contenuto commissionale”. Il che, sottolineano alcuni trader, è un modo garbato per rimandare al mittente, senza respingerli in toto, i “suggerimenti” non richiesti giunti da Del Vecchio. "Lo scenario del piano è che la quota di Generali rimanga intatta", ha spiegato il Ceo di Piazzetta Cuccia in conferenza stampa.
Se il patron di EssilorLuxottica sperava che Nagel fosse disponibile a liquidare un investimento, quello in Generali, che rende mediamente il 15% l’anno per investire in attività che lui stesso giudica poter essere molto più redditizie (il Roac è atteso balzare al 25% per il wealth management nell’arco del piano), l’amministratore delegato di Mediobanca per ora non cambia idea. Segnalando inoltre che oltre alla redditività, “fattori abilitanti” di future acquisizioni saranno (cosa troppe volte trascurata, con riflessi negativi sui risultati ex post) “la compatibilità culturale e l’approccio etico al business”.
Nagel non ha tutti i torti, visto che come sottolineato da più di un analista a Piazza Affari, comprare oggi con quotazioni vicine ai massimi storici e un potenziale rallentamento ciclico all’orizzonte in Europa rischia di rivelarsi se non un pessimo affare almeno un affare decisamente rischioso in termini di creazione di valore per gli azionisti. Azionisti che Nagel prova a rabbonire ponendosi l’obiettivo, ritenuto raggiungibile dai trader, di distribuire 2,5 miliardi di euro da qui al 2023 (contro gli 1,6 miliardi distribuiti negli ultimi 4 esercizi), grazie a un incremento del 10% del dividendo nel 2020 (e del 5% negli anni successivi) e ad un nuovo buy-back.
A spulciare i bilanci delle società che da tempo il mercato ha indicato come possibili prede di Mediobanca nell’ambito del wealth management si nota come FinecoBank a fine 2018 presentasse un Roac (calcolato sul patrimonio contabile) del 26,6% (del 41,6% se calcolato sul capitale economico), mentre per Banca Generali il rapporto tra utile dell’operatività corrente lorda e patrimonio netto era pari al 35,6%. In entrambi i casi sembrerebbero esistere spazi per valutare un’integrazione.
Ma questo lo sa anche il mercato tanto che Mediobanca pur avendo guadagnato il 33% circa, contro il +68% di Banca Generali (FinecoBank ha visto salire le quotazioni solo del 12,5% per il progressivo disimpegno di Unicredit), viene valorizzata meno di 11 volte gli utili attesi, mentre sia FinecoBank sia Banca Generali trattano ormai oltre 15 volte gli utili previsti dal mercato. Trovare la quadratura del cerchio tra valutazioni di borsa, desiderio di creare valore per gli azionisti e minimizzazione dei rischi connessi a eventuali future aggregazioni non sarà semplice, con buona pace di Del Vecchio.