Economia
Moncler smentisce offerta Kering, ma il mercato crede ancora all'ipotesi

Oltre al marchio di Remo Ruffini, potenziali prede sembrano poter essere Ferragamo, Tod’s e Aeffe
Falso allarme: l’incontro tra Remo Ruffini, azionista di controllo col 22,548% del capitale sociale (davanti a Morgan Stanley, Invesco e BlackRock, ciascuno tra il 3% e il 5%) e rappresentanti del gruppo del lusso francese Kering, controllato da Francois-Henri Pinault, c’è effettivamente stato ma rientra nei “periodici contatti” che Ruffini intrattiene “con investitori e altri operatori del settore”, tra i quali appunto il gruppo Kering, incontri incentrati “su potenziali opportunità strategiche per promuovere ulteriormente lo sviluppo di Moncler”, senza però “che, allo stato, vi sia alcuna ipotesi concreta allo studio”.
Peccato, perché l’indiscrezione rilanciata dall’agenzia Bloomberg di un interesse del gruppo francese per il marchio italiano era apparsa così gustosa che alcune case d’investimento, tra cui Equita Sim, avevano iniziato a far di conto ritenendo l’offerta industrialmente interessante e finanziariamente plausibile. Se si fosse arrivati (o mai si arriverà) ad un’offerta di 50 euro per azione, che secondo gli uomini di Equita è il massimo che Pinault potrebbe pagare Moncler in modo che, considerando le sinergie possibili soprattutto a livello di acquisti e di marketing e comunicazione, nonché di sviluppo dell’e-commerce, l’integrazione di Moncler si riveli leggermente accreativo in termini di futuri utili del gruppo francese, in molti avrebbero probabilmente stappato lo Champagne anche in Italia.
Sicuramente lo avrebbe potuto stappare Ruffini: sbarcata in borsa nel dicembre 2013 ad un prezzo di collocamento di 10,2 euro per azione, Moncler ha da allora quadruplicato il prezzo avendo toccato stamane un massimo storico intraday di 43,61 euro prima di veder scattare prese di profitto dopo la precisazione di Ruffini. A 50 euro la quota di Ruffini, il cui valore oggi è oscillato tra i 2,48 e i 2,38 miliardi, varrebbe invece 2,9 miliardi. Non male per un marchio rilevato nel 2003 dalla FinPart di Gianluigi Facchini per poche decine di milioni: il primo 51% fu pagato 30 milioni, garantendo a Ruffini una partecipazione diretta del 25%, poi FinPart finì in liquidazione, il marchio passò a Brands Partners (gruppo Mittel) e in seguito, nel 2008, il 100% fu girato a un veicolo finanziario, Fuori dal sacco Srl, partecipato da Carlyle (48%), Ruffini partecipazioni (38%), Brand Partners 2 (13,5%) e dal management. Da dire che nel 2009 Moncler fatturava l’equivalente di 372 milioni di euro, mentre lo scorso anno ha chiuso a 1,42 miliardi di ricavi (e con 332,4 milioni di utile netto).
Con Ruffini potrebbe stappare lo champagne anche Giovanni Tamburi: il banchiere d’affari entrò in Ruffini Partecipazioni prima dell’Ipo di Moncler, nell’agosto 2013, rilevandone il 14% (e dunque una partecipazione indiretta nell’azienda dei piumini che all’epoca era equivalente al 4,48%) per 103 milioni di euro, investendo in seguito altri 18 milioni. Due anni dopo Tamburi uscì da Ruffini Partecipazioni ottenendo il 5% di Moncler in cambio. Nell’estate dello scorso anno Tip passò alla cassa, cedendo circa un terzo della partecipazione a prezzi vicini al precedente picco storico di 42 euro e registrando una prima plusvalenza di 37 milioni, ma conservando oltre 2 milioni di azioni pagate 17 milioni e che a 50 euro l’una varrebbero oltre 100 milioni. Meno brillante ma positivo anche l’investimento di BlackRock: nel marzo di quest’anno, quando le quotazioni di Moncler oscillavano tra i 34 e i 36 euro, era salito appena sopra il 5%, superando il fondo Eurazeo che all’epoca aveva il 4,8%.
Poco dopo Eurazeo (entrato in Moncler fin dal 2011) aveva ceduto i suoi titoli (quasi 12,2 milioni di azioni) per 445 milioni di euro complessivi (36,5 euro per azione) mentre BlackRock ha iniziato a fare trading con la quota che ha oscillato sopra e sotto il 5%. Nel frattempo, da maggio di quest’anno (quando i prezzi erano tra i 35 e i 36 euro per azione) Morgan Stanley risultava aver superato la soglia del 3%, imitata da inizio ottobre (prezzi tra 31,5 e 33 euro) da Invesco, che sembrerebbe aver avuto un tempismo migliore e poter dunque, in prospettiva, segnare la plusvalenza più interessante in caso di una futura eventuale Opa sul titolo.
Vi è infine chi sembra brillare di luce riflessa: l’indiscrezione circa i contatti tra Kering e Ruffini sin da stamane hanno riportato sotto i riflettori anche Salvatore Ferragamo, Tod’s e Aeffe. Da tempo sottotono in borsa, dove le quotazioni a ieri sera registravano un calo di oltre il 15% su base annua, il gruppo del lusso fiorentino guadagna oggi quasi il 7,5%, superando i rialzi delle società dei Della Valle (+5%) e di Alberta Ferretti (+4%). Per tutti, ma in particolare nel caso di Ferragamo, i trader parlano di ritrovato appeal speculativo, stante la possibilità, peraltro sinora sempre negata dai diretti interessati, di una possibile cessione a qualche colosso del lusso come, oltre a Kering, Lvmh o Richemont.