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Economia

L’epilogo della triste vicenda Mps si avvicina e salvo sorprese positive (che Marco Morelli insieme a JpMorgan e Mediobanca proveranno fino all’ultimo a far avverare) sarà un epilogo apparso sin dall’inizio di questa vicenda difficilmente eludibile, ossia una nazionalizzazione di fatto, auspicabilmente temporanea e non necessariamente e solo a danno dei contribuenti, visto che la banca operativamente è sana e paga l’emersione di colpe passate, occultate per troppi anni come in molti altri casi (dalle quattro banche risolte nel dicembre dello scorso anno alle popolari venete, piuttosto che Banca Carige).

Oggi alle 14.00 è scaduto ufficialmente il termine per aderire alla riaperta operazione di “liabilities management” (Lme), ossia allo scambio su base volontaria, con un premio rispetto alle quotazioni correnti, di bond subordinati in azioni di nuova emissione di Mps. Dati ufficiali non ce ne sono e saranno comunicati solo domani sera una volta nota anche la risposta degli investitori istituzionali al collocamento privato in corso, ma secondo voci che lo stesso Morelli non ha confermato ma neppure smentito (“non lo sappiamo ancora” è stato il laconico commento) dovrebbero essersi registrati ulteriori adesioni per una cifra attorno al miliardo.

Il mercato mangia la foglia, perché se vi fosse stata un’adesione in massa qualche anticipazione sarebbe giunta già stasera, così il titolo Mps chiude in calo del 12% abbondante a 16,29 euro dopo aver toccato in giornata anche il nuovo minimo storico di 15 euro per azione. In questo modo dalla Lme si dovrebbe aver raccolto poco più di 2 miliardi di euro (contando anche il miliardo della precedente conversione presso gli istituzionali): visto che nell’annunciare il lancio della ricapitalizzazione Mps aveva precisato che il 65% dell’operazione sarebbe stata rivolta a investitori istituzionali, significa che al mercato retail non si ritiene di poter chiedere più di 1,5 miliardi al massimo, il che significa che l’altro miliardo e mezzo (almeno) dovrà venire dai grandi investitori istituzionali (tra i quali è illusorio sperare possano materializzarsi il fantomatico fondo cinese di cui si era parlato qualche giorno fa ed è difficile possa essere presente Qatar Investment Authority che pare si sia sfilato e indaffarato in altre partite come quella su Deutsche Bank). Se ciò non avvenisse, o comunque la somma raccolta tra Lme e collocamento privato restasse distante dai 3,5 miliardi, l’operazione fallirà e non resterà altro al governo che attivare lo scudo salva-banche da 20 miliardi di euro che Padoan si è già fatto autorizzare dal Parlamento. Domani, con un Cdm il governo Gentiloni lo varerebbe. 

Dopo tutto, era scritto nero su bianco nei numerosi prospetti pubblicati dalla banca: senza anchor investor che avrebbero dovuto essere reclutati dalla pattuglia di advisor capitanata da Jp Morgan e Mediobanca (che ha lavorato per ben 5 mesi senza chiudere il cerchio), niente aumento. 
 
Lo “scudo” pubblico è fatto di due elementi: una "garanzia di liquidità per ripristinare la capacità di finanziamentoa medio e lungo termine delle banche (garanzia che la Ue già mesi addietro aveva autorizzato il Governo italiano a fornire fino a 150 miliardi di euro), indispensabile perché ad esempio Mps, come si legge nel secondo supplemento al documento di offerta diffuso oggi dalla banca, ha in cassa 10,6 miliardi di euro, che possono bastare per 4 mesi ma si azzererebbero nel corso del quinto mese (che in assenza di interventi chiuderebbe a -15 milioni). Una seconda parte è costituita dalla possibilità per il Tesoro (già azionista al 4% in Mps) di assumere, o incrementare, partecipazioni dirette nelle banche dopo però che sarà scattato il meccanismo del “burden sharing” previsto dalle normative europee, ossia un sacrificio almeno parziale dei risparmiatori privati.

Come e per quanto? Si vedrà caso per caso, a fronte di una prescrizione di norma che parla di almeno l’8% delle passività dell’istituto in crisi che ricorre ad aiuti pubblici fatto pesare sulle spalle dei privati. Nel caso di Mps questo significa circa 13 miliardi di bond: i 4,5 miliardi di bond subordinati già oggetto della Lme, più bond senior non garantito per la parte rimanente (la banca aveva fatto sapere un paio di settimane fa di  avere in tutto bond idonei a tale procedura per 16 miliardi). Non è detto finisca così, in realtà: la norma è derogabile in caso di istituti di “rilevanza sistemica” come lo stesso Mps e quindi il peso da addossare ai privati potrebbe essere inferiore all’8% delle passività, previa autorizzazione della Commissione Ue.
 
Ci si potrebbe dunque fermare alla conversione forzosa dei 4,5 miliardi di bond (in circa 4-4,2 miliardi di capitale azionario) e all’intervento dello Stato per la somma rimanente. I correntisti non saranno ovviamente toccati, gli obbligazionisti senior (specialmente quelli garantiti) neppure. Ulteriori soldi pubblici potrebbero poi servire per indennizzare investitori retail realmente “truffati” all’atto della sottoscrizione dei bond subordinati. Ma questa via, come testimonia il caso delle quattro banche risolte un anno fa, è lunga e non priva di incertezze.

Luca Spoldi
 

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