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Crisi idrica, secondo ANBI bene la proposta di Piano PNIISSI, ma necessario anche il piano invasi

di Redazione Corporate

Vincenzi (ANBI): "La recente proposta del Ministro Salvini è un atto determinante per colmare il gap fra cultura dell’emergenza e cultura della prevenzione"

ANBI, per risolvere la crisi idrica bene la proposta di Piano PNIISS ma non basta: necessario investire anche il piano invasi

Per far fronte in modo strutturale alla carenza idrica e completare gli strumenti predisposti dal Decreto Siccità, si propone di destinare risorse aggiuntive ad un piano straordinario per la realizzazione di una rete diffusa di invasi  multifunzionali con basso impatto paesaggistico ed in equilibrio con i territori, realizzati senza uso di cemento e privilegiando materiali naturali locali, da destinare ad uso idrico plurimo (civile, irriguo, idroelettrico, ambientale, industriale, ricreativo, di laminazione delle piene, ecc.) in modo da contribuire alla riduzione del rischio idrogeologico ed a contrastare l’eventuale  carenza di risorsa idrica  con una ricaduta importante sull’ambiente e sull’occupazione”: è quanto si legge nella presentazione della proposta di modifica del Decreto Legge n.63 del 15 Maggio scorso (“Disposizioni urgenti per le imprese agricole, della pesca e dell'acquacoltura, nonché' per le imprese di interesse strategico nazionale”), depositata da ANBI in sede di audizione davanti alla Commissione Industria, Commercio, Turismo, Agricoltura e Produzione Agroalimentare del Senato, presieduta da Luca De Carlo.

La recente proposta del Ministro, Matteo Salvini, inerente il Piano Nazionale di Interventi Infrastrutturali e per la Sicurezza del Settore Idrico, è un atto determinante per colmare il gap fra cultura dell’emergenza e cultura della prevenzione, perché afferma un concetto di programmazione sulla base delle esigenze espresse dai territori”, commenta Francesco Vincenzi, Presidente dell’Associazione Nazionale dei Consorzi di Gestione e Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue (ANBI).

La proposta di Piano (P.N.I.I.S.S.I.) individua 418 interventi per un investimento complessivo di circa 12 miliardi di euro da reperire nei prossimi anni sulla base delle risorse (fondi statali o europei), che potranno essere disponibili. Il maggior numero di interventi inseriti è del Veneto (74), seguito dalla Sicilia, i cui interventi prevedono però investimenti più importanti (circa 1 miliardo e 606 milioni di euro).

“È una grande mole di risorse per progetti importanti di infrastrutturazione idrica dei territori. Sono pochi, però, gli interventi previsti per aumentare la capacità di trattenere l’acqua al suolo, la cui urgenza è testimoniata dalla drammaticità dei dati sull’abbattimento di capi animali per l’impossibilità di abbeverarli. Bisogna investire anche su un Piano Invasi ad iniziare dalla manutenzione di quelli esistenti, la cui capacità complessiva è ridotta del 10% per la presenza di sedime sui fondali. Da qui la nostra proposta”, precisa Massimo Gargano, Direttore Generale di ANBI.

In  attesa che venga formalmente approvata la proposta di Piano Nazionale, il Ministro ha presentato alla Cabina di regia dell’idrico anche un primo stralcio di programmazione, finanziato con circa 900 milioni di euro dal Ministero Infrastrutture e Trasporti, oltre a 50 milioni di euro per incentivare l’avanzamento delle progettazioni di opere già pianificate; qui sono Veneto e Friuli Venezia Giulia ad avere il maggior numero di progetti inseriti, ma è la Basilicata ad essere destinataria del finanziamento maggiore (quasi 114 milioni di euro).

"Come sempre", conclude il Presidente di ANBI Vincenzi, "ci mettiamo al servizio del Paese ed è per questo che abbiamo proposto e riproporremo la possibilità di convenzioni con Regioni e Comuni per la manutenzione ordinaria anche dei fiumi".

In sede di audizione parlamentare ANBI ha infine indicato la necessità di procrastinare al 2027 l’applicazione della normativa europea sul Deflusso Ecologico, perché non sono state ancora completate le analisi sui fabbisogni idrici dei territori.

Ridurre drasticamente la presenza d’acqua diffusa nelle campagne, senza attuare i necessari interventi compensativi, rischia di avere gravi conseguenze negative sull’ambiente e sulle produzioni agricole”, aggiunge Massimo Gargano.