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Mediobanca, "Dati Cumulativi" 2023: margini record per l'industria italiana
Ebit margin (6,6%) ai massimi dal 2008, nonostante la flessione del fatturato nominale (-6,8%)
Mediobanca: presentata la nuova edizione di "Dati Cumulativi", indagine annuale sulle società industriali e terziarie italiane
Mediobanca ha pubblicato la nuova edizione di "Dati Cumulativi", l'indagine annuale sulle società industriali e terziarie italiane di grande e media dimensione analizzate nel decennio 2014-2023.
In particolare, sono state esaminate 1900 società italiane che rappresentano il 45% del fatturato industriale, il 48% di quello manifatturiero, il 45% di quello della distribuzione al dettaglio e il 42% di quello dei trasporti. Le imprese a controllo estero coprono il 48% del fatturato di quelle con più di 250 addetti operanti in Italia e il 70% delle sole manifatturiere. Sono incluse pressoché tutte le aziende italiane con più di 500 dipendenti e una quota significativa di quelle manifatturiere di medie dimensioni.
Il fatturato delle 1900 imprese ha segnato nel 2023 una flessione annua nominale del 6,8%. Il risultato dipende in ampia misura dalla proprietà pubblica (-20,4%), che opera in prevalenza nelle produzioni energetiche (-29,8%) e petrolifere (-26,4%). Le aziende a proprietà privata, meno presenti in questi settori, hanno ripiegato del 2,5%.
La manifattura, ha, invece realizzato una variazione marginalmente positiva (+0,8% sul 2022), grazie alle performance dei gruppi maggiori (+4,5%) e di quelli sotto il controllo straniero (+0,7%) che hanno bilanciato l’andamento negativo del IV capitalismo (imprese medie e medio-grandi a controllo italiano: -1,7%). Nel complesso, il 2023 consegna per la manifattura un quadro segnato da una grande dispersione: intercorrono 40 punti percentuali tra la peggiore performance nominale (metallurgia: -15,9%) e quella migliore (impiantistico: +24,1%).
Segno positivo nel 2023 per il giro d’affari del made in Italy (+1,6%). L’andamento timidamente favorevole della manifattura nel 2023 è da ascrivere alle esportazioni (+2,2%) che hanno sopperito alla debole dinamica del mercato interno (-0,5%). Tenuto conto dell’evoluzione dei prezzi alla produzione, la manifattura ha segnato nel 2023 un arretramento in termini reali dello 0,9%.
All’interno della manifattura i settori energivori hanno sofferto le flessioni più accentuate anche in termini reali a causa della relativa debolezza della domanda: il metallurgico (-15,9% nominale; -2,8% reale), il chimico (-14,2% e -13%), il cartario (-13,5% e -12,3%), i prodotti per l’edilizia (-2,1% e -9,4%) e, per la sola componente reale, anche il vetrario (+12,2% e -3,1%).
Il settore del legno e mobili ha esaurito la spinta legata alla pandemia e agli incentivi fiscali (-8,1% e -11,1%). La pelletteria (-5,7% e -11,9%) e il tessile (-3,9% e -7%) confermano le note difficoltà della filiera della moda, ma anche l’editoria resta interessata da una prolungata difficoltà (-4,4% le vendite nominali e -10,9% quelle reali).
Tra le specialità in terreno positivo si segnalano: l’impiantistico (+24,1% e +18%) e la costruzione dei mezzi di trasporto (+11%; +6,9%) - sostenute dai comparti automotive, aeromobili e cantieristica nautica - oltre che l’elettronica (+8,8%; +4,4%) e la meccanica (+5,7%; +0,9%).
Merita un discorso a parte la filiera del food. L’industria della trasformazione alimentare ha segnato nel 2023 un progresso nominale del 7,5% che si traduce in un +1% in termini reali. Le bevande hanno, invece, abbinato al +4,4% nominale un -1,3% reale: è l’effetto della stagnazione delle vendite di vino (+0,3% nominale) e del buon andamento delle altre bevande (+9%). L’anello a valle della filiera, rappresentato dalla Gdo a prevalenza alimentare, ha però subìto un’inflazione specifica del 9,5% che ha eroso l’incremento dell’8,4% delle vendite, portando a una variazione negativa dell’1% in termini reali.
Per quanto riguarda i margini, nel 2023 le 1900 società hanno segnato un ebit margin del 6,6%, riportando non solo il massimo decennale (5,8% la media 2015-19), ma il miglior livello dal 2008. Ciò è avvenuto grazie alla contrazione dei costi d’acquisto tornati all’85% circa delle vendite, in linea con la media storica del 2015-19 (84%), e alla permanenza del costo del lavoro (10,1% del fatturato) su livelli ben al di sotto della media pre-pandemica (11,7%).
Tale dinamica ha creato nei margini lo spazio per assorbire gli oneri finanziari, raddoppiati dall’1% del fatturato nel 2022 all’1,9% nel 2023: essi hanno espresso un costo medio del debito pari al 4,2%, massimo decennale e in marcato aumento dal 2,6% del 2022. In effetti, nel 2023 gli oneri finanziari hanno assorbito il 27,7% del Mon, in incremento dal 19,9% del 2002, ma non lontano dal 26,6% medio del 2015-19. Il Roi ha così toccato nel 2023 il 9% dall’8,1% del 2015-19 e con esso il Roe si è fissato al 10% dal 7,8%: in entrambi i casi si tratta dei valori massimi nel decennio.
Il quadro non cambia con riferimento alla sola manifattura i cui margini hanno ritoccato in meglio il valore del 2022 e ampiamente superato i livelli pre-pandemici. Questi i dati di riferimento: ebit margin al 6,5% nel 2023 vs 5,9% nel 2022 e 5,2% nella media 2015-19; Roi al 10,5% nel 2023 dal 9,5% del 2022 e dal 9% medio del 2015-19; infine, Roe all’11,2% nel 2023 vs 11% nel 2022 e 8,4% medio del pre-Covid. Note un po’ contrastanti per il terziario, rappresentato principalmente da Gdo, Tlc e trasporti: esso migliora diffusamente le performance rispetto al 2022, ma rimane su marginalità inferiori al 2015-19.
Inoltre, se la vischiosità dei salari ha contribuito a preservare i margini, essa rappresenta tuttavia un freno alla domanda interna, tanto più rilevante nel caso in cui i mercati esteri dovessero mantenere una dinamica contrastata.
Posto pari a 100 nel 2021 il costo medio del lavoro delle 1900 imprese, il suo valore nel 2023, corretto in base all’inflazione, segna un livello pari a 92,4, per una perdita di potere d’acquisto pari al 7,6%. Sarebbero gli addetti del comparto pubblico ad avere subìto il maggiore depauperamento (-10%), mentre quelli del privato l’avrebbero contenuto al 7%. Quanto invece alla specializzazione produttiva, la forza lavoro della manifattura sopporterebbe una contrazione della propria capacità di spesa (-6,3%) inferiore a quella del terziario (-9,2%).
All’interno della manifattura, riduzioni del potere salariale superiori al 10% hanno interessato il cartario (-12,1%), il chimico (-10,3%), gli elettrodomestici (-15,4%), i prodotti per l’edilizia (-10,2%) e la stampa-editoria (-14,1%). Non a caso, si tratta sia di settori energivori sia di attività B2C influenzate dalla debolezza della domanda domestica (elettrodomestici) o da difficoltà strutturali specifiche (editoria).
Merita menzione la variazione reale positiva delle imprese di costruzione che nel 2023 hanno assorbito una quota crescente di addetti (+4,6%) con coerente dinamica dei livelli salariali (+1% reale dal 2021). Si tratta delle conseguenze dello stimolo trasmesso al settore dagli incentivi pubblici e dalla domanda generata dal PNRR.
Tuttavia, è da notare che un terzo del made in Italy è in mani straniere. Le imprese a controllo straniero rappresentano il 33,1% del fatturato delle 1900 società e il 33,7% di quelle manifatturiere.
Le aziende a controllo straniere sulle specialità del made in Italy valgono il 32,2% delle vendite, rispetto al 28,5% di vent’anni fa, e realizza performance allineate a quelle del made in Italy in mani italiane (medesimo Roi medio nel decennio al 9%). Inoltre, il made in Italy a controllo straniero garantisce un livello retributivo per addetto significativamente superiore: 77mila euro contro 64mila, per uno scarto pari al 20% circa.
Notevole la loro presenza nelle produzioni ad alta e medio-alta tecnologia: con riferimento alla manifattura le imprese a controllo straniero sviluppano il 61,4% del proprio fatturato in tali attività, incidenza ampiamente eccedente il 46,7% delle aziende a proprietà italiana. Ne consegue che le società a controllo estero rappresentano il 48,8% delle produzioni ad alta tecnologia in Italia, pur pesando il 33,7% in termini di fatturato. Infine, le imprese manifatturiere a controllo estero segnano un maggiore tax rate: 23,2% vs 20,6% di quello delle sole italiane nella media 2019-23.
Inoltre, nel 2023 gli investimenti materiali delle 1900 società, espressi a prezzi costanti, hanno segnato un incremento del 4,3% sul 2022. L’aspetto più eclatante riguarda l’andamento che contrappone il comparto pubblico, +19,5% sull’anno precedente, a quello privato che è invece in declino (-3,1%). La manifattura non ha realizzato significativi scostamenti sul 2022 (+0,2%), mentre il terziario è in marcato regresso (-6,3%), condizionando l’andamento dei gruppi a controllo estero (-7,4%).
Nel segmento pubblico gli investimenti hanno beneficiato dello sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili, dell’ammodernamento e digitalizzazione delle reti con finalità di elettrificazione e decarbonizzazione dei consumi e dell’installazione delle infrastrutture al servizio della mobilità elettrica.
La spinta impressa agli investimenti materiali dal comparto pubblico è evidente anche rapportando la loro dimensione al cash-flow: nel 2023 l’incidenza si è attestata al 74,9%, dopo essere già salita al 60,2% nel 2022, rispetto al 46,9% medio del periodo 2015-21.
Diverso il quadro del segmento privato: la quota di cash-flow assorbita dagli investimenti nel 2023 si è fissata al 44,8%, in contrazione dal 53,1% medio del 2015-21. Simili tendenze riguardano la manifattura, con un rapporto investimenti su cash-flow pari al 38,2% nel 2023, circa 8 punti sotto la media 2015-21.
Al netto della componente legata alle energie rinnovabili, la campagna investimenti del 2023 appare quindi all’insegna di una prudenza indotta dall’incertezza prospettica del contesto e dal livello dei tassi d’interesse. Il pur generoso cash-flow non è stato in grado di contrastare la generale instabilità.