Economia
Openfiber, il mistero del vero valore. Ecco i numeri che non tornano
La partita della rete unica
Ora che c’è l’accordo politico sulla rete unica di telecomunicazioni di banda larga che dovrebbe portare l’Italia a colmare il gap con il resto d’Europa, la partita tra i protagonisti entra nel vivo. Nel vivo vuol dire valutare gli asset dei protagonisti da Fibercorp di Tim (e con KKr e Fastweb nell’azionariato) alla rete di Openfiber che andranno a nozze nella futura società AccessCo. E come in una partita di poker si dovranno finalmente scoprire le carte. E qui c’è una grande zona d’ombra che riguarda proprio Openfiber, la società posseduta al 50% paritetico da Enel e Cdp e presieduta da Franco Bassanini, con Elisabetta Ripa come amministratore delegato.
L’unica valutazione fatta filtrare nei mesi scorsi da Enel, è quella del fondo Macquarie. Gli australiani valuterebbero l’intera Openfiber sui 7 miliardi di euro. Una cifra analoga a quella di Fibercorp, il veicolo che controlla la rete secondaria di Tim che vedrà l’ingresso del fondo KKR con il 37,5% della quota e di Fastweb con una quota minore.
Ma le somiglianze finiscono qui. Mentre per FiberCorp abbiamo un valore realistico, dato che la società vanterebbe ricavi al 2021 tra 1,2 e 1,3 miliardi con un margine operativo lordo di 900 milioni, nel caso di Openfiber siamo distanti mille miglia.
La società che ha appena depositato il bilancio non naviga certo in buone acque. Come anticipato da BusinessInsider.it, il bilancio 2019 vede Openfiber aumentare le perdite, salite a 117 milioni dopo il rosso di 97 milioni del 2018. E la striscia negativa per il gruppo fondato nel 2016 si approfondisce ogni anno che passa. La perdita del 2017 era stata di 37,5 milioni. Certo parliamo di una start-up e l’ultima riga di bilancio in perdita è fisiologica. Ma i ricavi non corrono quando dovrebbero.
Nel 2019 sono stati di soli 186 milioni con un balzo del 50% sul 2018 fermo a 114 milioni. La progressione del fatturato è evidente, ma i costi e gli ammortamenti salgono a ritmi maggiori tali da approfondire le perdite. Il margine operativo lordo è diventato positivo l’anno scorso per “soli” 37 milioni. Una cifra ben distante dai 900 milioni di margine lordo che la FiberCorp di Tim (e KKr) è in grado di produrre. Tra l’altro il passo del gruppo presieduto da Bassanini non pare rispettare il ruolino di marcia che l’azionista Enel si era prefissato all’atto della costituzione della società.
Nel 2016 presentando Openfiber, Enel dichiarava che la società sarebbe stata in grado di produrre nel 2021 un margine operativo lordo ci circa 300 milioni, pari al 75% dei ricavi di quell’anno. Mancano ancora 2 anni all’appuntamento, ma passare da 37 milioni di mol che nel 2019 pesavano per solo il 20% dei ricavi, a 300 milioni pare compito improbo. Eppure pur con questi numeri nessuno ha posto il problema della presunta valutazione di Macquarie che assegnerebbe all’intera Openfiber ben 7 miliardi di valore.
Come ha scritto Business Insider si tratterebbe di valutare il gruppo la bellezza di quasi 200 volte il margine industriale. Un’aberrazione vista così dato che i multipli delle reti di tlc viaggiano al massimo a 10- 11 volte il mol. Vien da chiedersi da dove sbuchi un’offerta tanto ghiotta quanto iperbolica. A gestire gli affari italiani di Macquarie ci sono personaggi di spicco della finanza italiana: da Claudio Costamagna, ex Goldman Sachs e soprattutto ex Cdp a Fulvio Conti ex Ceo di Enel.
Certo, l’attuale amministratore delegato di Enel Francesco Starace (nella foto in alto a sinistra) sarebbe felicissimo di vendere il suo 50% di Openfiber alle condizioni prospettate dal fondo australiano e dai suoi advisor per l’Italia. Enel ha a bilancio il suo 50% di OPenfiber a 432 milioni al 30 giugno di quest’anno. Valore di carico salito dai 384 milioni di fine 2019. Stando ai munifici australiani, Enel uscirebbe dalla partita con una plusvalenza stellare sul suo investimento. Robe da fondo speculativo di private equity.
Con la vendita del suo 50% di Openfiber, Enel eviterebbe di mettere ancora capitale, dato che l’investimento previsto a fine piano dai due soci (Enel e Cdp) sarà di 1 miliardo. Significa mettere altri 500 milioni nei prossimi anni per una società che viaggia sul conto economico con il freno tirato e ha, e continuerà ad avere, una leva debitoria elevatissima. A fine 2019 il debito finanziario netto di Openfiber era salito a 1,6 miliardi da poco più di 800 milioni del 2018. Debito che sarà destinato a salire negli anni dato che Openfiber vive di finanziamenti bancari. Con una prima linea di credito da 3,5 miliardi stipulato nel 2018 destinata a salire oltre i 4,5 miliardi nei prossimi anni. Il tutto per fronteggiare gli investimenti per la rete che fino ad oggi sono costati poco più di un miliardo.
Gran parte a leva grazie al sistema bancario che ha pesato solo nel 2019 sul bilancio di Openfiber per soli interessi sul debito circa 65 milioni, oltre un terzo dei ricavi, per un gruppo che finora non ha prodotto flussi di cassa e che nella testa di qualcuno dovrebbe valere quanto la rete di Telecom.
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Riceviamo e pubblichiamo da Openfiber:
I criteri di valutazione di un’azienda in fase di start up non possono basarsi sui dati di bilancio, che ovviamente fotografano un disallineamento tra investimenti e ricavi, ma devono far riferimento alla qualità e solidità del piano industriale e alla capacità di realizzarlo. Open Fiber è in fase di rapida e forte crescita e qualsiasi valutazione deve tenere in considerazione non solo l’attuale capacità di reddito ma soprattutto le prospettive di marginalità che derivano da un piano di investimenti da oltre 7 miliardi di euro, interamente finanziato. Parliamo di investimenti per oltre un miliardo l’anno. In questa fase il multiplo EV/ebitda - come diversi analisti hanno peraltro già sottolineato – non è significativo, a differenza delle scelte tecnologiche e della strategicità di un’infrastruttura destinata a generare reddito per molti anni.
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Openfiber sostiene che le metriche valutative classiche non valgono per una start up. Sarà, ma mi chiedo però a quale modello riferirsi: certo il piano industriale prevede svariati miliardi di investimenti, ma sono per lo più finanziati a debito. Con un rapporto di 7 a 1 sul capitale. Mi chiedo allora quale sia il valore dell'equity a questo punto, ricordando che è l'unico che conta. Infine, constato che le previsioni di redditività dell'avvio della società sono state completamente disattese.
Fabio Pavesi