Economia

Corriere della Sera, per Cairo la carta del giudice: scenari su via Solferino

La disputa editore-fondo americano parte dalla sede competente per arrivare ad una valutazione sulla congruità del prezzo di cessione e degli affitti concordati

Di Luca Spoldi

Era il 13 novembre 2013 quando con una nota Rcs Mediagroup, il cui patto di sindacato che controllava il 60,274% del capitale (di cui facevano tra l’altro parte Fiat, primo azionista col 20,339%, Mediobanca alle sue spalle col 14,173% oltre a Pirelli, Intesa Sanpaolo e Italmobiliare con poco più del 5% a testa) era appena stato sciolto, annunciò di aver ceduto per 120 milioni di euro al fondo Blackstone Real Estate Partners Europe IV, dell’omonimo gruppo statunitense, il comparto  immobiliare di via San Marco e via Solferino, all’epoca rappresentato da un’unica scheda catastale ma destinato dopo la transazione ad essere suddiviso in tre blocchi distinti: blocco 1 (edificio storico sede del Corriere della Sera in via Solferino), blocco 2 (area sita su via Moscova e via San Marco), blocco 3 (area su via Balzan).

Il valore complessivo venne determinato sulla base di una valutazione di 30 milioni di euro per il blocco 1, 66 milioni di per il Blocco 2 e 24 milioni per il blocco 3. La nota del gruppo editoriale precisava anche che “tale valorizzazione, risulta sostanzialmente in linea con la valutazione di un primario advisor immobiliare di Rcs”. L’accordo prevedeva anche un impegno di Blackstone “a non vendere a terzi, per almeno 12 mesi dal perfezionamento della vendita, l’intero comparto immobiliare né singoli blocchi dello stesso”. Inoltre Rcs MediaGroup avrebbe mantenuto un diritto di prima offerta sul Blocco 1, qualora l’immobile fosse stato messo in vendita, “diritto valido per tutto il periodo di utilizzo di questo immobile da parte del Gruppo Rcs”.

Rcs tuttavia si trovava in una situazione delicata: nei primi nove mesi i ricavi consolidati erano calati a 965,4 milioni (-13,75% rispetto ai primi 9 mesi del 2012), l’Ebitda ante oneri e proventi non ricorrenti era risultato negativo per 21,3 milioni (era positivo per 12,6 milioni ancora un anno prima) e nonostante tagli di costi per 62 milioni l’Ebit era ancora negativo per 178,3 milioni (peraltro dai 400,8 milioni di rosso di un anno prima) e il risultato netto negativo per 175,3 milioni (contro i 380,5 milioni di perdita netta dei primi 9 mesi 2012), il tutto a fronte di una posizione finanziaria netta, ossia di un debito netto, di 547,4 milioni, dopo un aumento di capitale e la cessione di Dada (che seguiva quella delle testate francesi di Flammarion).

Insomma, Rcs navigava in acque difficili tanto che contestualmente alla cessione degli immobili sottoscrisse con Blackstone un contratto d’affitto “a valori di mercato”, con decorrenza dall’esecuzione delle vendite e durate differenziate per i diversi blocchi: 9 anni, con facoltà di rinnovo a favore di Rcs per ulteriori 6 anni per i blocchi 1 e 3; 6 anni, con facoltà di recesso a favore di Rcs con effetto alla fine del secondo anno per il blocco 2. L’importo annuo dei singoli contratti venne stabilito in “circa 2 milioni di euro per il blocco 1, di 6,1 milioni di euro per il blocco 2 e 1,7 milioni di euro per il blocco 3”, oltre al “costo di affitto dei posti auto per circa 510 mila euro” (per un totale di circa 10,3 milioni di euro).

Fu anche previsto che “a decorrere dal quarto anno (ossia dal novembre 2017, ndr), i canoni annui dei blocchi 1 e 3 verranno complessivamente aumentati di 120 mila euro”, facendo dunque salire il totale dei fitti a circa 10,65 milioni di euro l’anno. Furono veramente “valori di mercato” quelli pagati da Blackstone per l’acquisto degli immobili e da Rcs per la locazione degli stessi? Se così fosse per Urbano Cairo potrebbe essere difficile sostenere la nullità della compravendita.

Per realizzare la dismissione del comparto immobiliare Rcs si avvalse di Banca Imi (gruppo Intesa Sanpaolo) come advisor finanziario, richiedendo perizie immobiliari a vari “valutatori indipendenti, da ultimo Reag”. Agli azionisti di controllo di Rcs dell’epoca, che poco più di due anni e mezzo dopo sarebbero finiti in minoranza col passaggio del controllo del gruppo editoriale al gruppo Cairo, il prezzo parve in linea con un mercato che appariva particolarmente fiacco anche data “un’elevata presenza di sfitto nell’area milanese”, che proprio nel biennio 2012-2013 vide il mercato delle locazioni toccare i propri minimi.

Eppure 30 milioni l’anno per il blocco 1 equivalevano al 6,7% circa di rendimento da locazione, 6,1 milioni per il blocco 2 a ben il 9,2% e 1,7 milioni per il blocco 3 al 7,1%, emntre a fine 2016 i rendimenti da locazione oscillavano ancora, in media, tra il 4,3% (in centro) e il 5,2% (in periferia). Cairo potrebbe dunque aver ragione, ma per ottenere la nullità del contratto, cosa che comporterebbe la restituzione di quanto incassato dal fondo di Blackstone o più probabilmente una rinegoziazione del prezzo di vendita con conseguente esborso di qualche ulteriore decina di milioni a favore del gruppo editoriale italiano, dovrà prima far decretare la competenza esclusiva di Milano come sede giudicante.

Per questo Rcs ha avviato già la scorsa settimana a Milano un giudizio arbitrale al fine di ottenere la nullità della vendita “in base alla legge italiana”, ma ha anche annunciato di confidare “che la Corte di New York riconoscerà senza indugio che Blackstone non ha titolo per instaurare una causa a New York, essendo il procedimento arbitrale in Italia l’unica sede competente, e che le sue pretese sono infondate”. A prescindere dalla sede giudicante, Rcs dovrà anche dimostrare o che Blackstone ha orchestrato la vendita ad Allianz (per una cifra che sarebbe stata doppia di quella pagata a Rcs stessa) ben prima di quest’estate, quando hanno iniziato a circolare notizie relative alla transazione, o in ogni caso non ha tenuto conto del “diritto di prima offerta sul Blocco 1” che andava invece riconosciuto a Rcs in quanto questa ancora utilizza tale immobile.

Smontata la tesi accusatoria degli americani, a Urbano Cairo non resterà che dimostrare che nonostante l’operato di Banca Imi (che inizialmente contattò oltre 30 operatori ed investitori italiani ed esteri, a 16 dei quali venne poi inviato un documento informativo che descriveva le caratteristiche del complesso immobiliare in vendita, per raccogliere infine solo 5 offerte non vincolanti) e le “diverse sedute consiliari nel corso dei mesi di giugno e luglio” necessarie perchè il 7 agosto 2013 fosse annunciata “la prosecuzione della trattativa in esclusiva con Blackstone Real Estate Partners”, l’offerta finale degli americani anche “tenuto conto del riaffitto” non era in realtà altro che una forma di usura, ovvero, a termini di legge, una sorta di “prestito a un interesse notevolmente superiore a quello corrente e legale”. Visto il deciso rimbalzo segnato da Rcs Mediagroup in borsa sembrerebbe che anche qualche investitore inizi a ritenere l’ipotesi non del tutto peregrina.