Economia

Petrolio, niente panico dopo Doha.Ma per il mercato può scendere a 30$

VENEZUELA/ Il prezzo del barile low cost compromette le entrate della già debole economia venezuelana. Secondo il Fmi, l'inflazione nel Paese guidato da Nicolas Maduro potrebbe arrivare al 720%, crescita vertiginosa dei prezzi che si accompagna a una svalutazione incredibile della moneta, in particolare sul mercato nero, mentre i beni primari sono merce sempre più rara sugli scaffali dei supermercati. L'andamento dell'economia, sempre secondo il Fmi, sarà ancora pessimo:quest'anno è previsto un calo dell'8%, dopo il tracollo del 10% dell'anno appena andato in archivio. Il Venezuela, insieme a Brasile, Ecuador e Argentina, sarà responsabile della complessiva recessione che verrà registrata dall'area latino-americana e caraibica.

 

Seduta nera per il petrolio sui mercati finanziari. Dopo il mancato accordo sulla produzione di petrolio tra Paesi Opec e Paesi non membri del cartello nel meeting di ieri, tenutosi a Doha, in Qatar, il Wti è arrivato a cedere fino al 6,8%, il peggior crollo da due mesi, mentre il Brent ha lasciato sul campo fino al 7%.

"Ci dispiace che alcuni membri dell'Opec abbiano cambiato idea", ha affermato il ministro russo dell'Energia, Alexander Novak, che ritiene pero' ancora possibile un accordo sul congelamento coordinato della produzione. Ulteriori consultazioni tra i 18 Paesi che hanno preso parte al meeting di Doha potrebbero infatti tenersi a fine aprile e a maggio, ha spiegato il ministro. Il nulla di fatto di Doha, tuttavia, avra' un impatto negativo sui prezzi del greggio, con ripercussioni anche sul rublo.

"La nostra aspettativa era che i Paesi andassero al meeting per una ragione, cioè per raggiungere un accordo sul congelamento della produzione", ha concluso Novak. "Ci troviamo in uno scenario estremamente ribassista", afferma Abhishek Deshpande, analista di Natixis, secondo il quale è possibile che i prezzi "scendano fino ai 30 dollari nei prossimi giorni". L'esperto, inoltre, sottolinea come il rally più recente sia stato ben supportato dall'idea che si sarebbe giunti ad una qualche forma d'accordo.

Il venir meno di questa ipotesi, "comprometterà seriamente la fiducia degli investitori", sostiene Deshpande. Per quanto riguarda l'andamento delle trattative tra i membri dell'Opec, queste sono sfumate dopo che l'Arabia Saudita ha sorpreso l'Organizzazione chiedendo ancora una volta, come condizione fondamentale per il raggiungimento di un'intesa, l'ok dell'Iran. In effetti, il giorno prima del meeting, il vice principe ereditario del Regno Saudita, interpellato da Bloomberg, aveva affermato che, senza un accordo tra gli altri produttori, compreso l'Iran, il Paese non avrebbe limitato le estrazioni di greggio.

Successivamente, nel corso delle prime ore della giornata di ieri, secondo quanto riferito da una persona ben informata sugli avvenimenti, il ministro del Petrolio dell'Arabia Saudita, Ali al-Naimi, dopo aver ricevuto una telefonata da Riyadh, ha dichiarato, parlando ai suoi delegati, che era necessario ristrutturare da capo le trattative dal momento che non includevano Teheran. Dal canto suo, il ministro del Petrolio iraniano, Bijan Zanganeh, era stato chiaro nei giorni scorsi circa l'intenzione del Paese di non bloccare la produzione ed ha evitato proprio di partecipare alla riunione. Gli investitori, nel complesso, nonostante lo scetticismo manifestato di recente circa gli effetti che il raggiungimento di un'intesa avrebbe potuto avere sui livelli di output e, di conseguenza, sui prezzi, credevano comunque che l'accordo avrebbe dato segnali positivi al mercato. Un'intesa o, semplicemente, la prospettiva di un accordo, avrebbe messo in evidenza la volonta' dei Paesi produttori di collaborare per contrastare l'eccesso di produzione che, da tempo, pesa sui prezzi. "Stiamo per assistere ad un'uscita dalle posizioni lunghe" da parte degli operatori, sostiene Jason Schenker, presidente della Prestige Economics, secondo il quale "l'ipotesi di un congelamento dei livelli di output e' stata sopravvalutata".

"Non credo che il mercato si aspettasse" che i Paesi produttori di petrolio, membri dell'Opec, potessero trovare un accordo nel corso del meeting di ieri, quanto piu' che manifestassero "un atteggiamento di apertura, magari in vista di un incontro successivo" tale da poter permettere di trovare una soluzione positiva, afferma uno strategist interpellato da MF-DowJones, puntualizzando che i prezzi del petrolio stanno scendendo non per un effetto sorpresa in scia al fallimento dell'accordo di Doha, ma perche', sulla base di quanto emerso dall'incontro di ieri, e' evidente quanto "sia forte lo scontro interno tra i Paesi dell'Opec". Per l'esperto, infatti, sembra che i membri dell'Organizzazione "non andranno incontro ad una soluzione nel prossimo futuro". Inoltre, precisa lo strategist, e' probabile che la caduta delle quotazioni del greggio sia determinata anche da "prese di profitto" da parte degli investitori. "Crediamo che il mercato possa arrestarsi su alcuni livelli di supporto", prosegue l'esperto, il quale aggiunge che "quota 35 dollari potrà rappresentare un buon supporto ai prezzi".

In sostanza, le valutazioni elaborate fino a questo momento verranno rimesse in discussione solo nel caso in cui le quotazioni scenderanno al di sotto del livello a 35 dollari. Per il momento, "il quadro non e' cosi' brutto", sottolinea lo strategist e "ci puo' stare dopo quanto accaduto". Tuttavia per Bjarne Schieldrop, analista di Seb Bank, e' evidente che i principali investitori che operano sul mercato del petrolio non hanno rivolto particolare attenzione all'evento. L'atteggiamento dell'Arabia Saudita, che ha ostacolato il raggiungimento di un'intesa, non spingera' comunque gli operatori a vendere le loro posizioni in preda al panico. Per l'esperto, infatti, la costruzione di posizioni lunghe speculative, che equivale a scommettere in un aumento dei prezzi del petrolio, e' vicina ai massimi. Inoltre gli analisti di Seb Markets hanno affermato ch "il selloff, tutto sommato, non dovrebbe essere troppo lungo e troppo profondo". Sebbene sia probabile che i principali produttori, come l'Iran, seguano i loro programmi di aumento dell'output, la mancanza di un accordo non rende piu' probabile in alcuni Paesi piuttosto che in altri, come la Russia e il Venezuela, un incremento della produzione oltre gli elevati livelli attuali, concludono gli esperti. Per gli analisti di Rbc i problemi continueranno per la maggior parte dei Paesi dell'Opec, con Venezuela e Libia che sono particolarmente a rischio.

"Per i membri più fragili dell'Opec, anche la nostra stima di una ripresa a 50 usd/barile entro fine anno e' qualcosa di fantascientifico", sottolineano gli analisti.