Economia

Risparmio, azionario Ue e trading su corporate-bond. Ecco come far soldi nel 2016

Si può affrontare una crisi di domanda a colpi di liquidità? E' quanto hanno provato a fare tutte le maggiori banche centrali mondiali dall'esplosione della crisi economico-finanziaria del 2008, arrivando a sostituirsi ai mercati del credito almeno nel tratto a breve, sul quale l'offerta di moneta gestita direttamente dalle varie Bank of Japan, Bank of England, Federal Reserve e Banca centrale europea e la leva dei tassi ufficiali possono effettivamente muovere i tassi. Resesi conto da tempo che tale azione di politica monetaria "classica" aveva dei limiti le stesse banche centrali hanno avviato programmi di "quantitative easing", ossia di acquisto di bond direttamente sul mercato, riuscendo a condizionarne il prezzo e a plasmare le intere curve dei tassi.

Offrire moneta e pilotare i tassi a zero previene il rischio deflazione e può servire a ravvivare l'economia e previene questo, però, solo se il sistema economico ha anticorpi sufficienti a rigenerarsi ogni volta, come in America, o viene sostenuto da una politica fiscale espansiva, come in Gran Bretagna. Ma dove problemi di tipo demografico (come in Giappone e in Italia), o un'eccessiva rigidità fiscale o amministrativa si sommano a quelli legati all'accesso e al costo del credito, la politica monetaria perde gradualmente di efficacia. Lo sa bene Mario Draghi, che ha sparato in questi anni molte cartucce verbali, ma finora non è riuscito né a far ripartire le aspettative di inflazione, fortemente correlate all'andamento dei prezzi delle materie prime (e del petrolio in particolare), né la ripresa economica europea, che resta disomogenea e fragile per l'assenza di una comune politica fiscale europea.

Ciò detto, le decisioni della Bce, una limatura del tasso di interesse sui depositi (portato da -0,2% a -0,3%) e un'estensione da settembre 2016 ad almeno marzo 2017 del QE apparsa più formale che sostanziale (dato che se il programma dovrà proseguire fino a quando l'inflazione "core" non sarà vicino al 2% annuo dovrà durare almeno al 2018), erano il massimo che si potesse fare da un lato per non scontentare troppo i tedeschi, dall'altra per lasciarsi qualche cartuccia a disposizione ove servisse l'anno prossimo. Nel frattempo il boccino resta in mano alla Federal Reserve, che la prossima settimana darà il via ad un lento processo di "normalizzazione" dei tassi. La Fed può del resto contare su una ripresa che, nonostante sia arrivata al suo quinto anno consecutivo di crescita, si mantiene su un passo attorno al 2,5% e con previsioni che parlano di un andamento analogo almeno per altri due anni.

In Europa la Bce prevede invece una crescita del Pil di Eurolandia dell'1,5% quest'anno, dell'1,7% nel 2016 e dell'1,9% nel 2017. Sommando l'inflazione prevista sempre dalla Bce il Pil nominale di quest'anno risulterebbe pari all'1,6% (ma in l'Italia difficilmente supererà l'1%), al 2,7% l'anno prossimo e al 3,6% nel 2017. Guardando il bicchiere mezzo pieno, il QE, che vale circa mezzo punto di Pil in più come effetto netto (ossia tenuto conto della svalutazione dell'euro) e il calo del petrolio, che spiega circa l'1% di maggiore crescita per Eurolandia quest'anno (e quasi 2 punti per l'Italia che senza il calo del greggio avrebbe visto il Pil calare dell'1,03% annuo allo scorso giugno secondo un report di Natixis) hanno effettivamente fatto ripartire l'economia europea fornendo uno stimolo che la politica fiscale non ha saputo fornire in questi anni. Morale: anche per i prossimi mesi sarà meglio restare investiti in strumenti azionari, sovrappesando i listini europei ma mantenendo le posizioni a Wall Street con cambio aperto (così da essere esposti in dollari). Il Giappone dovrebbe mantenersi sui livelli attuali o di poco migliori, mentre paiono ancora da evitare i mercati emergenti, che soffrono con dollaro forte e tassi sullo stesso in risalita.

A livello settoriale o di singoli titoli meglio puntare su chi come Campari o Luxottica (ma anche Fiat Auto Chrysler) fattura molto in dollari (e negli Usa) e ha costi anche in euro. Prudenza per quanto riguarda i titoli del lusso "made in Italy" esposti alla Cina e ai paesi emergenti in genere, da Salvatore Ferragamo a Prada. Punto interrogativo per banche e titoli petroliferi. Le prime soffriranno la maggiore volatilità dovuta alle quotazioni raggiunte dai bond e ai minori spazi di manovra rimasti alla Bce, oltre che le incertezze riguardo l'andamento delle sofferenze (ma alcune come Ubi Banca, Banco Popolare, Mps, Bpm, Bper e Banca Carige manterranno un appeal speculativo legato al previsto "risiko" italiano); i secondi faranno fatica a ripartire con quotazioni del greggio attorno o sotto i 40 dollari al barile, a sua volta dovuta a una sovrapproduzione dell'Arabia Saudita con cui Riad tiene in scacco sia i produttori statunitensi di shale oil sia la Russia, con evidenti implicazione geopolitiche anche legate alla crisi siriana. Sui bond la "prudenza" della Bce lascia probabilmente spazio a una più lunga tenuta delle quotazioni anche se con volatilità crescente, cosa che potrebbe offrire occasioni di trading per i più coraggiosi ed esperti.

Ma per chi deve investire liquidità a lungo termine comprare titoli come i Btp che rendono tra l'1,6% e l'1,7% a dieci anni, con uno spread attorno o sotto l'1% contro Bund significa rischiare molto per ottenere poco. Gli esperti di Bank of New York Mellon notano poi come le emissioni di titoli governativi europei nel 2016 dovrebbero calare dai circa 216 miliardi di quest'anno a 190 miliardi di euro. Questo, unitamente agli acquisti della Bce, "potrebbe portare i prezzi dei titoli di stato a salire ancora", con guadagni in conto capitale per chi fosse già investito, ma crescenti rischi per chi vorrebbe allocare nuove risorse nel reddito fisso europeo. Se non altro la costante immissione di liquidità avrà l'effetto "di mantenere i default del credito societario a livelli relativamente bassi", consentendo ai più coraggiosi di investire sui bond corporate almeno sino ai primi segnali di ripresa delle quotazioni petrolifere, attorno alle quali, alla fine, sembrano ruotare tutti i dubbi con cui si sta andando a chiudere questo 2015, nonostante il gran lavoro di Mario Draghi e Janet Yellen.

Luca Spoldi