Economia

Crediti alle imprese e alle famiglie, la ripresa non c'è. Nemmeno nei servizi

Eduardo Cagnazzi

Realfonzo (Università del Sannio): "Nonostante le politiche espansive della Bce l'economia italiana è stagnante e la crisi frena la domanda di beni di consumo".

Senza una svolta nella politica economica nazionale non ci sarà ripresa nel Mezzogiorno e nell'intero Paese. La ripresa sbandierata ai quattro venti appena qualche anno fa si è attenuata, ora siamo in stagnazione e conseguentemente frenano le richieste di prestiti da parte di imprese e famiglie. E non s’investe nemmeno in quei settori, come i servizi, che fino a qualche tempo fa hanno in qualche modo trainato l’economia. Se prima la stretta del credito e gli elevati  tassi d’interesse sbarravano ad imprese e famiglie ogni via di uscita dalla crisi, oggi la situazione è cambiata. Lo rileva  l’Osservatorio Banche Imprese che ha elaborato dati della Banca d’Italia. Secondo gli analisti dell’Obi, è infatti cresciuta appena dello 0,08% la consistenza dei prestiti in Italia tra il giugno del 2018 ed il giugno del 2019. La maggior parte delle 69 province ha tuttavia registrato una contrazione della consistenza dei prestiti in essere con il Mezzogiorno che, grazie alla crescita della consistenza dei prestiti alle famiglie (+3,2%), ha registrato una lieve crescita complessiva (+0,2%). Al contrario, per i settori produttivi del Mezzogiorno, in misura maggiore rispetto al dato complessivo nazionale, la consistenza dei prestiti è diminuita: -2,5% per le attività industriali, -7,8% per il settore delle costruzioni e -3,4% per il settore dei servizi.

Se il Mezzogiorno ed il Paese non hanno agganciato il treno di una duratura ripresa, che cosa non ha funzionato? “Nonostante le politiche espansive della Banca Centrale Europea che hanno determinato una forte riduzione dei tassi -ed oggi siamo ai minimi storici- l’economia italiana è stagnante e la ripresa nel Mezzogiorno è lontana”, dice ad Affaritaliani Riccardo Realfonzo, direttore della Scuola di Governo del Territorio e ordinario di Economia politica presso l’Università del Sannio. “Manca la fiducia delle imprese che, di conseguenza, non investono. A loro volta, strette dalla morsa della crisi, le famiglie non riescono a mettere in programma l'acquisto di beni di consumo durevoli. E ciò nonostante il livello particolarmente basso del costo del credito.  Quando l’economia è stagnante le politiche monetarie espansive diventano impotenti. Come diceva Keynes: possiamo portare il cavallo all’abbeveratoio, ma se non ha sete non beve… Cioè, se non ci sono prospettive di profitto e in generale di crescita dei redditi ben difficilmente imprese e famiglie si indebitano”. Insomma, il Mezzogiorno e il Paese continuano a vivere una crisi che non conosce tregua con il rischio di una desertificazione industriale che pone soprattutto il territorio meridionale in bilico tra l’emergenza produttiva e sociale. “E’ una condizione difficile -aggiunge Realfonzo- dovuta soprattutto alla drastica contrazione degli investimenti pubblici nazionali sperimentata dopo il 2008  e all'assenza negli scorsi anni di una vera politica industriale. Tuttavia, la lettura del documento di programma per il 2020 del governo, pur in un assurdo quadro di regole europee che resta restrittivo, lascia intravedere una qualche inversione di tendenza. In particolare, il ministro per il Mezzogiorno Provenzano sta mettendo in campo misure interessanti, come la riorganizzazione degli incentivi alle imprese, e sta pensando ad alcuni strumenti per superare la cronica difficoltà di spesa dei fondi europei, come una centrale unica di committenza per gli investimenti medio-grandi. A riguardo, c ‘è da dire che i blocchi del turnover degli scorsi anni hanno molto indebolito le pubbliche amministrazioni del Mezzogiorno e oggi ci sarebbe bisogno di una iniezione di giovani laureati nei Comuni e nelle Regioni del Sud, sul modello del piano del lavoro varato in Campania. Opportunamente, il ministro del Mezzogiorno si è anche detto propenso a rivedere la governance delle Zone economiche speciali, oggi troppo farraginosa e complessa, che potrebbero diventare un rilevantissimo volano di sviluppo. Sotto questo aspetto, ricordo che l'esperimento della Campania è il più interessante e avanzato nel Mezzogiorno. Anche perchè la Campania è stata la prima a istituire la Zes. Dobbiamo dunque sperare in una significativa discontinuità della politica economica nazionale rispetto al passato, anche con una quota degli investimenti per il Mezzogiorno in crescita e una ben maggiore attenzione al Sud da parte di attori pubblici come Cassa Depositi e Prestiti. Altrimenti il Mezzogiorno e l'intero Paese non riprenderanno un sentiero di crescita soddisfacente”.