Economia

Rete Tim, l'idea alternativa: lo Stato con una quota di minoranza/ INSIDE

di Marco Scotti

Il fondo americano ha confezionato un’offerta da 27 miliardi compresi gli investimenti, ma potrebbe volere al suo fianco anche lo Stato

Rete Tim, ecco l’offerta di Kkr

Prende ogni giorno corpo l’offerta di Kkr, sia per quanto riguarda la componente economica, sia per quello che concerne eventuali compartecipazioni. Dunque, per quanto riguarda l’aspetto finanziario, gli americani hanno messo sul piatto 18 miliardi per rilevare la rete di Tim. A questi bisogna aggiungere un premio da due miliardi se la Ue dovesse dare il via libera al progetto d’integrazione tra Tim e Open Fiber. Infine sarebbero previsti sette miliardi per gli investimenti necessari. D’altronde, la banda ultralarga necessita ancora di soldi, soprattutto nelle zone grigie. 

Ma c’è di più. Secondo quanto può riferire Affaritaliani.it, ci sarebbe un'altra possibilità: la presenza dello Stato con una quota di minoranza. Una vera rivoluzione: fino ad ora, infatti, si era sempre parlato di due progetti alternativi. Quello di Cdp, che avrebbe dovuto rilanciare avvicinando i famosi 31 miliardi di cui parlava Vivendi avrebbe però avuto un problema di Antitrust, con la necessità di dismissioni perché Cassa Depositi e Prestiti ha già il 60% di Open Fiber. Quello di Kkr, invece, mira anche a valorizzare l’investimento profuso per acquistare il 37,5% di Fibercop, ovvero la rete secondaria che, dai cosiddetti “armadi” arriva fino nelle case degli italiani.

Kkr vuole monetizzare il suo investimento in FiberCop e apre alla presenza dello Stato

Gli americani hanno pagato 1,8 miliardi due anni fa la loro quota di minoranza in Fibercop. Ora stimano, dopo gli investimenti profusi, che valga circa 10 miliardi. E quindi la restante parte da acquisire circa 6,5 miliardi. Da notare, tra l'altro, che l’Ebitda di quest’asset è circa i due terzi di tutta la rete. L’offerta di Kkr non si scontrerebbe con notevoli vincoli antitrust né avrebbe l’obbligo di operare dismissioni. Proprio sul capitolo dismissioni si è concentrato anche il ceo di Fastweb, Alberto Calcagno, che si è detto disponibile, in un’intervista a Repubblica, a rilevare la parte della rete che eventualmente dovrebbe essere dismessa da Cdp. 

Ma, si diceva, c’è un’ulteriore possibilità. Se lo Stato decidesse di entrare nella partita con una quota di minoranza, dopo la fase di sviluppo e avviamento della nuova infrastruttura, nel momento dell’exit di Kkr – che rimane un fondo e che quindi prima o poi dovrà monetizzare il suo investimento – si troverebbe automaticamente maggior azionista della rete, avendo un piede in tutte le sue componenti ma senza conflitti. Si parla di una partecipazione “auspicata” dagli americani intorno al 30%, come avviene in Terna, una quota più significativa di quella in Enel e minore di quella in Eni

Si vedrà. Intanto gli appuntamenti si susseguono: il 15 febbraio prossimo Pietro Labriola presenterà alla comunità finanziaria la revisione del piano industriale. Il 24 del mese, poi, si riunirà il consiglio di amministrazione che dovrà decidere che cosa fare dell’offerta non vincolante (come ha ancora ricordato il ceo di Tim). Ma attenzione: il giorno prima sarà Cdp a riunirsi in consiglio e, verosimilmente, dovrà capire che cosa intende fare, sapendo di essere azionista al 10% di Tim e non potendo quindi pensare a offerte al ribasso per evitare grane dall’assemblea. La proposta di Kkr ha una scadenza precisa: il 1° marzo. Per allora si saprà quale sarà il futuro della rete di Tim.