Economia
Stellantis, Tavares riduce i turni alla Sevel. La Fiom: "1.100 esuberi"
Ridotti i turni settimanali alla Sevel, il più grande impianto Ue di veicoli commerciali. I sindacati lanciano l'allarme su "1.100 esuberi." Ecco perché
D’accordo che c'è la crisi congiunturale dei chip che sta costringendo allo stop molti stabilimenti di assemblaggio di tutte le case automobilistiche mondiali. Stop che impattano sui target produttivi. Ma quando alle fermate forzate degli impianti, che riducono il ricorso alla manodopera, si associa anche la concorrenza infragruppo di altri stabilimenti, maggiormente flessibili e più automatizzati, dove invece l’azienda sta accelerando l’attivazione delle piattaforme, ecco che alla fine forse la crisi dei chip è l’assist perfetto per il management per iniziare a ridurre quei costi operativi che sono il tratto distintivo delle fabbriche di Stellantis in Italia.
E’ quello che sta accadendo infatti con gli impianti del gruppo nato dalla fusione fra l’ex Peugeot e Fiat-Chrysler nel nostro Paese, dove la quarta casa automobilista mondiale guidata da Carlos Tavares ha appena comunicato che dal 27 settembre lo stabilimento della Sevel di Atessa in Val di Sangro in Abruzzo, il più grande impianto in Europa di veicoli commerciali, attualmente impostato su 18 turni settimanali, passerà a 15 turni. Il motivo? Le difficoltà generate dalla carenza di semiconduttori, nello specifico un chip nella centralina Abs Bosch fornita dallo stabilimento malese, la cui mancanza non permette di completare l'assemblaggio.
I sindacati delle tute blu Stellantis hanno denunciato che la riorganizzazione determina un impatto di riduzione occupazionale di circa 900 lavoratori, che nell'intenzioni dell'azienda verrà compensato con l'interruzione dell'attività di trasferta di circa 650 cassintegrati provenienti dagli altri stabilimenti del gruppo (manodopera sottoimpiegata utilizzata invece alla Sevel dai vicini siti produttivi come Melfi e Pomigliano) e con l'interruzione del rapporto di somministrazione di circa 300 lavoratori, degli attuali 750 presenti in azienda. Numero che si somma, chiosa la Fiom-Cgil, "ai già 150 mandati a casa nei mesi scorsi”.
La decisione arriva dopo il question time del 9 settembre del ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti che ha riferito di “rassicurazioni ricevute da Stellantis" solo "di tipo generale, non di tipo particolare, sulla presenza del gruppo in Italia” e mentre nello stabilimento (ex Opel, si produceva l'Astra) iper-automatizzato di Gliwice, in Polonia Stellantis ha deciso di anticipare a febbraio (rispetto ad aprile prossimo, con un investimento di 280-300 milioni) la produzione del Ducato. Output che a regime sarà di 100 mila unità (ma potrebbe essere maggiore) e che a fine 2022 potrebbe raggiungere già i 40-50 mila veicoli. Sullo sfondo resta l’impegno di Stellantis a fare in Italia, poi, la nuova gigafactory, precisamente a Termoli. Sito in Molise che dovrà assorbire manodopera.
La scelta sulla Sevel preoccupa Fiom, Fim e Uilm, perché in Val di Sangro, l’assemblaggio del Ducato (300 mila furgoni), veicolo di punta di un sito dove l’ex Fca lavorava anche per la concorrenza come Peugeot e Citroen, rischia di venir condiviso e settato al di sotto delle richieste di mercato. Un ridimensionamento che potrebbe impattare strutturalmente sia sull’occupazione diretta che sull’indotto industriale della componentistica. Effetti strutturali che iniziano dunque già a manifestarsi: le aziende della filiera automotive della Val di Sangro stanno già producendo per lo stabilimento polacco e stanno aprendo stabilimenti in loco e Stellantis ha ridotto l’impiego sullo stabilimento Sevel (assieme a Melfi, prima fiore all’occhiello del gruppo in Italia).
Ecco perché in attesa del primo piano industriale di Carlos Tavares che arriverà a fine 2021/inizio 2022 in cui il Ceo dovrà centrare i target da fusione, la Fiom parla di “1.100 esuberi sullo stabilimento di Sevel” e di “nuove strategie da parte di Stellantis” in Italia. C'è anche da considerare che, oltre alla crisi dei chip, il blocco temporaneo delle forniture come acciaio e plastiche, i cui prezzi sono saliti alle stelle, è già costato nel primo semestre dell’anno al colosso automobilistico presieduto da John Elkann 700.000 veicoli (circa il 20% della produzione).
(Segue...)