Economia
Trump fa aumentare la benzina. Lo sgambetto Usa fa male al Pil
Dal 2 maggio anche gli 8 paesi (tra cui Italia e Cina) che potevano importare petrolio dall’Iran senza violare le sanzioni Usa non potranno più farlo
Livelli che potrebbero dunque non rappresentare solo una fiammata temporanea, ma durare a lungo e tradursi in un ulteriore aumento dei prezzi della benzina che in Italia, complice anche il pesante fardello fiscale (sul prezzo della benzina alla pompa pesano poco meno di 73 centesimi al litro di accise, oltre a 28 centesimi di Iva), a fine marzo risultava già risalita in media a 1,558 euro al litro, contro gli 1,49 euro al litro medi di fine gennaio, ma che in occasione del ponte di Pasqua ha raggiunto gli 1,748 euro al litro in modalità servito (1,617 euro al litro in modalità self service).
E questo nonostante sia stata la stessa amministrazione Trump a mettere in chiaro che Stati Uniti (ormai secondo produttore petrolifero al mondo grazie allo sviluppo dello shale oil), Arabia Saudita (primo produttore mondiale, che attualmente estrae mezzo milione di barili di petrolio al giorno meno di quanto potrebbe in base agli attuali accordi in seno all’Opec) ed Emirati Arabi, “sono impegnati ad assicurare che i mercati globali del petrolio restino forniti in modo adeguato” si legge in un comunicato della Casa Bianca che dunque cerca di stemperare le tensioni sui prezzi di queste ore.
La nota dell’amministrazione Usa è anche modo per ricordare, indirettamente, che se i prezzi del petrolio dovessero spingersi verso gli 80-85 dollaro al barile a giugno l’Opec, sotto pressione dell’Arabia Saudita e dello stesso Trump, potrebbe tornare a incrementare la produzione giornaliera dei paesi aderenti al cartello petrolifero viennese, come avevano già fatto filtrare alcune fonti interne al cartello viennese nelle ultime settimane. Sullo sfondo resta anche da valutare quella che sarà la reazione della Russia, che sempre secondo le voci di queste settimane sarebbe orientata a non prorogare comunque i tetti produttivi oltre giugno e dunque tornare a pompare più petrolio, verosimilmente con un effetto calmierante nella seconda metà dell’anno.
Nonostante queste precisazioni, l’effetto-petrolio offre una ulteriore immediata spinta alle quotazioni dei titoli del settore, con Saipem, Eni e Tenaris che tornano a mettersi in luce a Piazza Affari con rialzi robusti delle quotazioni. Da inizio anno il titolo del cane a sei zampe è già risalito da 13,75 a 15,8 euro per azione (+15%), anche se gli analisti tecnici per ora restano cauti sulle prospettive del titolo. Molto meglio Saipem, che beneficia del grande lavoro fatto dal management per quanto riguarda il recupero di margini e volumi di commesse e che da inizio 2019 si è già portato da 3,26 a 4,81 euro (+47,5%), così come Tenaris, passata in questo primo scorcio d’anno da 9,44 a 13,49 euro (+43%).