Economia
Ue, Bruxelles pronta a vietare anche i piatti di carta riciclabile
Mazzata su un'industria da 7,72 miliardi di ricavi. La nuova direttiva sui prodotti usa e getta da “bannare”
Dopo il “che mangino brioche” attribuito malandrinamente a Maria Antonietta, oggi il vocabolario degli europei potrebbe arricchirsi di un nuovo evento idiomatico: “Che mangino in piatti di porcellana”. Il che renderebbe scomodissimi pic-nic, ritrovi, ma anche sagre, Feste dell’Unità e perfino consumare una pizza d’asporto. Facili umorismi a parte, è notizia recente che l’Europa, in un afflato ambientalista dopo duecento anni di inquinamento senza sosta, ha deciso di mettere un veto anche alle stoviglie in carta riciclabile. Ohibò, ma non dovevano essere la salvifica alternativa alla tanto odiata plastica?
Evidentemente, nel tentativo maldestro di arginare una situazione che è sempre più drammatica, si cercano “nemici” da affossare. Prima è stato il diesel, definito ormai come il responsabile di ogni male nonostante studi indipendenti abbiano dimostrato che i motori a gasolio di nuova concezione inquinano meno dei nuovi benzina. Si è scelto l’elettrico senza approfondire il tema delle batterie esauste (che fine faremo fare a quella montagna di dispositivi che contengono acidi dannosissimi per l’ambiente?).
Poi si è deciso di dare battaglia alla plastica. Che inquina, certo, ma si poteva promuovere un consumo più responsabile, educare a comportamenti virtuosi e sanzionare pesantemente chi non ricicla. D’altronde, solo ora nel nostro Paese si sta iniziando a dire che le bottiglie dell’acqua – quelle in Pet – possono provenire al 100% dal riciclo. Fino a oggi il limite imposto era del 50%. E poi c’è la Plastic Tax, pronta a partire, una bomba a orologeria che potrebbe ricadere indirettamente sui consumatori con un incremento dei costi notevole.
Ma la carta riciclata? La Commissione europea ha inserito nella direttiva sui prodotti usa e getta da “bannare”, al punto 2.2.1, anche quelli in carta riciclata che contengano tracce di polimeri plastici. Se questo orientamento venisse confermato, si aprirebbero due strade: o l’utilizzo di prodotti interamente di origine cartacea e con cellulosa, che però potrebbero mostrare qualche problema di tenuta sia al calore che al peso; o l’impiego di stoviglie lavabili. Il che sarebbe un problema non da poco per un’industria, quella della carta, che è attiva già da tempo per migliorare i comportamenti dei consumatori.
Tanto che si è deciso di dare vita a un’associazione, l’Eppa (l’Alleanza europea per gli imballaggi), che vede come presidente l’ex numero uno di Confindustria Antonio D’Amato. Questo organismo, ovviamente pro domo sua ma neanche troppo, ha commissionato uno studio a una società di consulenza danese, la Ramboll, che mostra come con il consumo in loco nei servizi “quick” (dai fast food ai bar sui treni), le stoviglie riutilizzabili generano il 177% in più di emissioni di CO2, consumano il 267% in più di acqua e producono il 132% in più di particolato fine rispetto al monouso in carta.
Tra l’altro, qualsiasi decisione in merito alla carta e ai suoi utilizzi (e riutilizzi…) andrebbe a incidere su un settore che ha chiuso nel nostro Paese il 2018 (ultimo dato disponibile) con un fatturato in crescita del 4,2% a quota 7,72 miliardi di euro. Stabile la produzione a 9,1 milioni di tonnellate (0,1%). L’Italia è il quarto produttore di carta in Europa.
"I problemi principali con i riutilizzabili sono l’energia e l’acqua che consumano durante il lavaggio e l’asciugatura per garantire che siano igienici e sicuri per il riutilizzo da parte dei clienti, e questo è confermato anche quando vengono applicate le tecnologie di lavaggio più efficienti – afferma Antonio D’Amato, presidente dell’Eppa – Ciò significa che il monouso è migliore per il clima e non aggrava i problemi di stress idrico, ora un problema in crescita in molti Paesi europei".
Il 100% delle stoviglie in carta monouso esistenti prodotte dai membri dell’Eppa e utilizzate in Europa proviene da foreste gestite in modo sostenibile. La carta e il cartone sono il materiale di imballaggio più riciclato in Europa con un tasso di circa l’86% (Eurostat 2017).
E dunque, se l’Europa vuole continuare la sua giustissima lotta contro gli agenti inquinanti, mirando oltretutto a raggiungere la “neutralità” da carbone e combustibili fossili entro il 2050, deve iniziare a distinguere il grano dal loglio. Altrimenti si rischia di gettare al macero – è proprio il caso di dirlo – un’industria che funziona e che è anche sostenibile.