Economia
Usa, il carbone alla resa dei conti: il colosso Peabody rischia di fallire
La mineraria crolla di nuovo del 25% a Wall Street. Era uscito appena tre anni fa dal Chapter 11, con debiti dimezzati. Ma oggi il mondo è cambiato.
Usa, il colosso Peabody sull'orlo del declino
Il colosso del carbone americano Peabody si trova ancora in una situazione critica. Tre anni fa era uscito dalla bancorotta, grazie al Chapter 11. Oggi sembra essere condannato a un declino irreversibile, sia per i cambiamenti economici che politici. Come fa sapere il Sole 24 Ore la sfiducia del mercato nei confronti di Peabody è rappresentata in modo evidente dalla relazione della Borsa: nella recente seduta a Wall Street la mineraria ha perso oltre un quarto del suo valore, dopo che il management ha espresso “notevoli dubbi sulla capacità di mantenere la continuità aziendale”. La capitalizzazione si è ridotta ad appena 83 milioni di dollari, dai 5,8 miliardi di giugno, e un record di oltre 20 miliardi nel 2008.
Secondo quanto fa sapere il Sole 24 Ore il problema più impellente nasce dall’ultimatum di una compagnia assicurativa australiana, che ha imposto rigide condizioni per non ritirare una fideiussione relativa agli oneri per le miniere dismesse: oltre ad aumentare il collaterale a garanzia, Peabody dovrà convincere entro il 31 dicembre le banche creditrici ad alleggerire i convenant e i possessori di obbligazioni con scadenza 2022 ad allungarne la maturity. Impresa difficile, come riconosce la stessa società, avvertendo che il Chapter 11 potrebbe essere l’unica via d’uscita, considerate le condizioni del mercato e le pressioni sul bilancio, che pochi mesi fa l’hanno spinta a svalutare di 1,42 miliardi la miniera più importante, North Antelope Rochelle, nel Wyoming.
Usa, le perdite di Peabody e il futuro incerto
Ma per Peabody le cose vanno male anche per le chiusure del terzo trimestre: la perdita netta è stata di 67,2 milioni, mentre il fatturato è calato del 40% con 671 milioni. Le vendite di carbone, anche a causa della pandemia, sono diminuite del 23% a 31,5 milioni di tonnellate. Ma a pesare non è solo la congiuntura. Anche il cambio di passo alla Casa Bianca, con la vittora di Joe Biden e la riadesione agli accordo sul clima con un piano di 2mila miliardi dollari, non promettono floride speranze al colosso del carbone. Prima della politica, erano stati il mondo della finanza e delle leggi dell’economia a imporre anche negli Usa una svolta che sembrava ancora lontana tra il 2016 e il 2017, quando Peabody con il Chapter 11 era riuscita a cancellare i debiti per 5,2 miliardi di dollari, metà del totale.
Sempre da quanto si apprende dal Sole 24 Ore oggi le istituzioni le istituzioni finanziarie disposte a sorreggere un produttore di carbone sono diventate rare, in tutto il mondo industrializzato. Ma soprattutto il carbone ha perso competitività, messo in crisi prima dallo shale gas e poi sempre più dalle rinnovabili, che oggi in molte aree del mondo costano meno di qualsiasi fonte fossile per la produzione di elettricità. L’agenzia internazionale dell’energia, in un rapporto diffuso ieri, prevede che nei prossimi cinque anni la capacità di generazione del fotovoltaico ed eolico raddoppierà, superando quella delle centrali a gas nel 2023 e quella delle centrali a carbone nel 2024.