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Economia
Vodafone Italia passa a Fastweb: i motivi della cessione e le scelte di Tim

Vodafone Itaia-Fastweb: il crollo della redditività e la necessità di aggregazioni hanno spinto la fusione

Fastweb si compra Vodafone Italia per 8 miliardi. La notizia, attesa e annunciata, è ora ufficiale e conferma come il mondo delle telecomunicazioni sia entrato nell’era delle grandi aggregazioni. La pletora di operatori attualmente attivi (28) dovrà essere necessariamente ridotta a causa di un meccanismo che ha drasticamente ridotto i margini grazie a tariffe sempre più basse e soglie di dati e telefonate sempre più alte. Così, la notizia dell’acquisizione di Vodafone Italia non deve stupire nessuno, ma deve anzi invitare a una riflessione più profonda.

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Secondo l’ultima edizione del Rapporto sulla Filiera delle telecomunicazioni in Italia edizione 2023, presentato a novembre da Asstel-Assotelecomunicazioni, il 2022 è stato ancora un anno di crescita per i volumi di traffico dati (+10% per il traffico dati fisso, +31% per quello mobile), ma anche di ulteriore peggioramento dei ricavi del settore, ridottisi a 27,1 miliardi (-0,8 miliardi di euro), il valore più basso di sempre, anche per effetto di un contesto iper-competitivo che ha comportato un ulteriore calo dei prezzi. Complessivamente, dal 2010 al 2022, i ricavi hanno fatto registrare un calo del 35%: il radio-mobile -44%, le comunicazioni fisse -26%. Un dato ancor più allarmante è che il rapporto tra margine lordo e investimenti per la prima volta è negativo per 3,8 miliardi, mentre nel 2010 superava i 10 miliardi. Un disastro che impone profonde riflessioni.

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Se è comprensibile la scelta di Pietro Labriola e di Tim di vendere la rete perché comporta una serie di investimenti accessori non più sostenibili, rimane da capire come far fruttare al meglio quei servizi che germoglieranno proprio grazie alla rete. Come spesso accade, non è tanto il segmento retail a dover essere guardato con interesse, ma semmai quello business, con i vari cloud e storage di dati che permettono un recupero della marginalità. Amazon insegna che è quello il segmento veramente fruttuoso, mentre la normale vendita di servizi rimane un business dalla marginalità assai ridotta per non dire nulla.

A proposito di Tim, ora che i francesi di Vivendi hanno chiuso il bilancio 2023 in utile pur svalutando la loro quota, possono permettersi riflessioni più serene. I 4 miliardi spesi per rilevare il 23,75% dell’ex-Telecom oggi sarebbero sufficienti – a valori di Borsa – per comprarla tutta. Ma Vincent Bollorè ha addirittura provveduto a tagliare il valore di carico delle azioni a 0,21, in modo da evitare altre brutte sorprese. Nei giorni scorsi è circolata la notizia di un possibile interessamento di Iliad per rilevare una quota – o tutta – la SerCo che nascerà dopo la scissione della rete.

Lo stesso Benedetto Levi, in un’intervista ad Affaritaliani di quasi due anni fa, aveva dichiarato di guardare con interesse alle mosse di Tim. Che poi questo si possa tradurre in un’acquisizione è più che prematuro a dirsi. Però c’è un dettaglio che va osservato con attenzione. Proprio nell’estate del 2022 la stessa Iliad aveva offerto 11,25 miliardi per le attività di Vodafone Italia, ricevendo un “no grazie” come risposta. Oggi invece gli inglesi accettano di vendere a Fastweb per una cifra assai inferiore pur di ottenere immediatamente denaro contante. Pochi, maledetti e subito diceva un vecchio adagio: perché l’offerta è cash e “ready to pay”. 

E il motivo è presto detto: in due anni la redditività di Vodafone Italia si è ridotta. E la sensazione è che in un mondo in cui il traffico voce e dati è ormai a tutti gli effetti una commodity, due sono le strade: o ci si inventano servizi accessori ad altissimo valore, oppure si procede a una drastica riduzione del numero degli operatori. L’impressione, un po’ come nel mondo bancario, è che la seconda strada sia quella percorribile in maniera più veloce e meno problematica. 






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