Cinema
Uglies su Netflix: Quando il messaggio si perde nella superficialità
L’adattamento di Uglies, il romanzo di Scott Westerfeld, arriva su Netflix carico di aspettative, ma il risultato finale è un'ombra sbiadita delle sue promettenti premesse.
Nel panorama delle storie distopiche young-adult, Uglies di Scott Westerfeld è stato a lungo considerato una perla nascosta. Pubblicato nel 2005, il libro ha ispirato generazioni di lettori con il suo messaggio critico verso la società ossessionata dalla bellezza e dall'omologazione. Tuttavia, l’adattamento cinematografico targato Netflix, diretto da McG, non riesce a cogliere l’essenza rivoluzionaria dell’opera originale e cade nella trappola di un prodotto standardizzato e prevedibile, ironicamente proprio come la società che vorrebbe criticare.
Una critica sociale che si sviluppa in superficie
Il tema principale di Uglies – la chirurgia estetica imposta per creare una società omogenea – è particolarmente rilevante in un'epoca dominata dai social media e dai filtri estetici. Il romanzo esplorava in profondità la questione dell’identità e delle pressioni sociali, ma il film si limita a una rappresentazione visiva senza mai spingersi a una riflessione più ampia. È qui che si perde l’unicità dell’opera: nonostante gli spunti di partenza siano eccellenti, la sceneggiatura semplifica e riduce il messaggio a un banale “essere o apparire,” senza mai scavare davvero nelle dinamiche psicologiche che governano i personaggi.
Un’idea che non si evolve: dove Uglies fallisce davvero è nella mancanza di un’analisi moderna delle nuove insidie legate alla bellezza. Il libro aveva anticipato molti dei problemi che oggi viviamo con il costante bombardamento di standard estetici sui social media, ma il film manca di aggiornare questa prospettiva. Ad esempio, in un'epoca dove i filtri e le app per il ritocco sono a portata di mano, un confronto tra l'ossessione di Tally per la trasformazione e la nostra dipendenza da perfezionamento digitale avrebbe potuto arricchire il discorso. Netflix, invece, sembra ignorare questa opportunità, offrendo una narrazione che suona datata, come se fosse ancora il 2005.
La protagonista in cerca di una voce
Joey King, che interpreta la protagonista Tally, si trova a gestire un personaggio apparentemente afflitto da una lotta interiore, ma non riesce a trasmettere la complessità emotiva del suo viaggio. La sua performance appare piatta, in gran parte a causa di una sceneggiatura che non dà spazio alla crescita psicologica del personaggio. Il suo passaggio da entusiasta della chirurgia a ribelle che sfida il sistema avviene troppo rapidamente e senza il giusto peso emotivo.
Un aspetto che sarebbe stato interessante esplorare, e che manca nel film, è l’impatto della chirurgia non solo sull’aspetto fisico, ma anche sulla percezione di sé. Il romanzo suggeriva che il cambiamento estetico influenzasse anche la psiche, rendendo i "Pretties" più docili e conformi. Questo aspetto psicologico viene toccato solo superficialmente nel film, senza mai indagare veramente le implicazioni più profonde del controllo mentale attraverso l’estetica.
L'Estetica sopra il contenuto
In un’ironia fin troppo evidente, Uglies cerca di criticare l’ossessione della società per la bellezza, ma lo fa con un cast che, nel ruolo degli "Uglies", è composto da attori oggettivamente belli. Joey King, Chase Stokes e Brianne Tju non appaiono mai “brutti”, neanche prima della trasformazione, riducendo ulteriormente la credibilità della trama. Questo errore evidenzia un problema di casting che toglie autenticità all'intero progetto. Se il film avesse osato un approccio più coraggioso nel rappresentare la bruttezza – magari attraverso un casting più diversificato o un’estetica visiva meno convenzionale – avrebbe potuto enfatizzare meglio il suo messaggio di fondo.
Gli effetti visivi, per di più, sono deludenti. In un'epoca in cui la tecnologia CGI ha fatto passi da gigante, Uglies sembra indietro di almeno dieci anni, con hoverboard che paiono usciti da un videogioco di seconda mano e ambientazioni che non riescono a trasmettere il senso di alienazione e oppressione del mondo distopico descritto nel libro.
L’Asse mancante: il parallelo con il mondo reale
Uno degli aspetti più stimolanti che il film avrebbe potuto affrontare è il parallelo tra la società distopica di Uglies e la nostra realtà odierna. Nella nostra epoca dominata da ritocchi estetici e social media, l'ossessione per l'apparenza ha raggiunto livelli mai visti. Immagina se il film avesse esplorato il concetto di "chirurgia sociale" attraverso la lente della pressione digitale. Come il bisogno di modificare foto prima di pubblicarle online potrebbe essere una versione moderna e meno drammatica dell’intervento estetico di Uglies. Questo confronto avrebbe aggiunto una dimensione inaspettata al film, rendendolo non solo più attuale, ma anche più rilevante per il pubblico di oggi.
Nonostante le aspettative alte e un materiale di partenza che offriva enormi potenzialità, Uglies non riesce a trovare la sua strada. È un film che parla di bellezza, ma manca di sostanza. Forse, come il suo stesso mondo distopico, Uglies è più preoccupato dell’apparenza che del contenuto. Un’occasione mancata non solo per offrire un film di qualità, ma anche per stimolare una riflessione significativa sui problemi attuali legati alla bellezza e all'identità.