Esteri

Ddr ancora viva 26 anni dopo la caduta del Muro di Berlino


Di Alberto Maggi (@AlbertoMaggi74)


9 novembre 1989. Günter Schabowski, ex portavoce del governo della Repubblica Democratica Tedesca, morto qualche giorno fa, annunciava senza volerlo l'apertura del Muro di Berlino. Il segno della fine del socialismo reale e della contrapposizione Ovest-Est che aveva diviso il mondo dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Che cosa è rimasto di quella sera e di quell'evento 26 anni dopo? Siamo proprio sicuri che tutto il bene stava ad occidente e tutto il male ad oriente?

La Ostalgie, la nostalgia per il passato regime comunista dei tedeschi dell'est, è più forte che mai e non è solo politica o economica ma anche e soprattutto culturale. I film e la musica della Ddr sono tornati di moda, così come il cibo (dai mitici cetriolini dello Spreewald, resi famosi dal film Goodbye Lenin, alla Vita-Cola, che ancora oggi fa concorrenza alla Coca-Cola) e tutti quei comportamenti sociali, come le parate della Freie Deutsche Jugend (la gioventù comunista) la domenica mattina, che si moltiplicano spontaneamente ogni settimana da Erfurt a Dresda, da Lispa a Potsdam.

Economicamente, nonostante la retorica di Angela Merkel (Helmut Kohl la definì la "ragazza venuta dall'est" avendo vissuto per molti anni nella Ddr) e malgrado gli sforzi dei land occidentali, i cittadini dell'ex Germania Orientale ancora soffrono per una disoccupazione doppia rispetto all'altra metà del paese con salari e stipendi spesso più bassi di un terzo rispetto a quelli dei wessis (termine che indica i cittadini della ex Germania Ovest e che si contrappone a ossis per chi abita nella ex Ddr).

Non è tutto oro quello che luccica e così gli ossis hanno capito ben presto che l'opulenza e il benessere osannati dalle televisioni dell'Ovest prima dell'89 (visibili anche a Berlino Est) in molti casi erano soltanto un miraggio. Quanto sta accadendo nell'ex Ddr è simile a quello che avviene in Russia, ma anche in Repubblica Ceca, in Romania e in tutti gli altri stati che appartenevano al Patto di Varsavia. Si tratta di una presa di coscienza e di un ritorno alle origini, di una riscoperta di un mondo troppo presto abbandonato come se al di qua del Muro ci fossero solo ricchezza e benessere.

Il caso Volkswagen, l'emergenza migranti e la crisi della Grecia hanno dimostrato ai tedeschi e al mondo intero i limiti del sistema capitalista e stanno facendo riscoprire i lati positivi di un passato in cui la libertà era sì condizionata, ma in cui non esistevano disoccupati, poveri ed emarginati. Di quelle immagini viste e riviste cento molte dei berlinesi dell'est e dell'ovest che abbattono il Muro, oggi è rimasto ben poco. Se non la consapevolezza che a 26 anni di distanza dalla conferenza stampa del goffo Günter Schabowski, che cambiò la storia, la frase più ricorrente a est come a ovest è "Die Mauer im Kopf". Ovvero "il Muro è nella testa".

La Germania della Merkel, del falco Schäuble e dell'ultra falco Weidmann (presidente della Bundesbank) si scopre oggi ancora divisa e con un crescente malumore tra chi pensava che il capitalismo e la Riunificazione fossero il Paradiso in terra. Una pia illusione. Oggi lo sa anche chi quel 9 novembre 1989 festeggiava l'annuncio di Schabowski come una liberazione.