Esteri
Etiopia, nel Tigray arriva il cessate il fuoco per motivi umanitari
Lunedì 28 giugno, in tarda serata, arriva la conferma. Il governo del premier Abiy Ahmed ha proclamato unilateralmente il cessate il fuoco per motivi umanitari
Adesso gli osservatori e la stampa internazionale vorrebbero togliere ad Abiy quel premio, considerando che nel Tigray c’è la guerra. Ma chi l’ha voluta? E perché un governo dovrebbe sedersi al tavolo e trattare con un gruppo armato terrorista? Fin dall’inizio il premier Abiy ha detto che l’intento del suo governo era riportare “legge e ordine”, con il minor costo possibile per i civili.
La stampa e le organizzazioni internazionali lo accusano però di limitare e bloccare l’arrivo di aiuti umanitari, di non volere ong e di usare la fame come arma di guerra. Insomma Abiy starebbe ignorando i diritti umani di uomini, donne, vecchi e bambini. Non ultimo è accusato di essersi alleato con l’Eritrea.
A questo proposito va detto che nelle dichiarazioni pubbliche Abiy Ahmed ha mostrato, fin dall’inizio, di non ritenere la firma della pace con l’Eritrea un pro forma. Di ritenerla invece una coalizione importante che, nella situazione innescata dal Tplf, diventa militare. Gli schieramenti in campo contro il Tplf sono tre, l’esercito eritreo, le milizie amhara e i soldati federali. Gli amhara hanno il dente avvelenato contro la leadership tigrina che in passato li ha espropriati delle terre, della lingua, imponendo il tigrino anziché l’amarico e perpetrando per anni una violenta pulizia etnica a beneficio della minoranza tigrina.
L’uscita del Tplf dalla scena politica è stata perciò da loro salutata con sollievo.
La stampa internazionale contro la presenza dei soldati eritrei ha mosso pesanti accuse, tutte per il momento senza prove. C’è anzi il sospetto che l’uscita di notizie prive di fonti, o con fonti non attendibili, nasconda la residua capacità del Tplf di manipolare i media.
Ieri, con un comunicato e con un tweet, il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, si è detto fiducioso, dopo aver parlato con il premier Abiy Ahmed, che le ostilità sarebbero cessate, per proteggere i civili e le persone che hanno bisogno di ricevere gli aiuti umanitari.
Sulla presenza di organizzazioni umanitarie e sulla distribuzione degli aiuti, è importante sentire la voce di Medici Senza Frontiere, Msf, organizzazione internazionale che da decenni lavora in Etiopia e che si trovava lì a novembre 2020.
Le parole degli operatori, Tommaso Santo, responsabile dell’intervento di emergenza nella regione, e Marco Sandrone, coordinatore dei progetti ad Axum e Adua, da poco rientrati in Italia, descrivono “uno scenario cupo”, “una guerra con pesanti ricadute sulla popolazione”. Nella situazione attuale, spiegano, il Tplf controlla le aree rurali, mentre i federali hanno ripreso il controllo delle città.
Molti sono gli sfollati interni. Secondo l’Unhcr circa un milione. Persone che si spostano, andando dove il conflitto si interrompe. Ma il problema più grosso, dice Msf, è che l’ottanta per cento dei centri medici è saccheggiato o distrutto.
Così come “sono state distrutte tutte le infrastrutture, le fabbriche, i pozzi, gli ospedali mettendo in ginocchio la popolazione che non ha più accesso a cure mediche”. Inoltre mancano le ambulanze requisite dagli “attori militari” per altri usi. Ad Adua l’ospedale di riferimento per circa 80 mila abitanti, parzialmente distrutto, è stato totalmente saccheggiato. Il personale medico, non più pagato, se ne è andato altrove. Prima della guerra negli ospedali, anche nei più piccoli, c’erano attrezzature e macchinari di buon livello, a volte addirittura eccellenti. Per esempio ad Abi Adi, paesino più piccolo di Adua e con meno abitanti, “è stata distrutta una TAC da 4 milioni di euro”. Altro problema è la fuga della classe medica di alto livello, come il rettore donna dell’Università di Makelle, fuggita in Germania dopo la rivolta contro Addis Abeba”.