Esteri
Etiopia, nel Tigray arriva il cessate il fuoco per motivi umanitari
Lunedì 28 giugno, in tarda serata, arriva la conferma. Il governo del premier Abiy Ahmed ha proclamato unilateralmente il cessate il fuoco per motivi umanitari
Le strutture ospedaliere del Tigray sono quindi “collassate”, ripetono gli operatori di Msf, sotto i colpi della guerra, lasciando la popolazione priva delle cure essenziali e degli interventi d’emergenza. Certo c’è da chiedersi, ascoltando il loro puntuale e preciso racconto, a quali “attori”, convenisse radere al suolo la sanità pubblica e svellere i costosi macchinari. A chi convenisse impaurire i medici e far sparire le medicine. Sembra inverosimile che a ordinarlo sia stato il governo federale perché se la gente, senza cure e medicine muore, la colpa ricade su Addis Abeba, già sotto la lente d’ingrandimento internazionale.
A questo si aggiunge l’accusa di affamare la popolazione. Rendendo volutamente difficili gli spostamenti delle agenzie umanitarie, costringendole a transare ad ogni posto di blocco per riuscire a raggiungere chi vive nelle zone rurali.
La cronaca fornita da Msf è precedente al cessate il fuoco di ieri, però delinea un quadro utile per capire i successivi avvenimenti.
Per esempio, se oltrepassando un posto di blocco un carico di aiuti fosse intercettato dal Tplf, le persone a bordo del convoglio rischierebbero di essere uccise? “Da un lato” spiega Msf “si bloccano i convogli di aiuti per isolare le zone ribelli del Tigray, dall’altro però si vuole evitare che le persone delle organizzazioni internazionali finiscano al centro di uno scontro armato”. Purtroppo è di qualche giorno fa la notizia di un attacco a un convoglio di Msf nel quale sono morti tre operatori, Maria Hernandez, coordinatrice dell’emergenza nella regione, di nazionalità spagnola, Yohannes Halefom Reda, assistente coordinatore e Tedros Gebremariam Gebremichael, autista, entrambi di nazionalità etiopica.
Fame e carestia sono problemi connessi alla guerra. Il premier Abiy, però, rispondendo settimana scorsa a un giornalista, dice che nel Tigray non si muore di fame. Il governo di Addis Abeba in questi mesi ha fornito aiuti alimentari a più di 4.7 milioni di abitanti del Tigray, che ne conta circa sei.
Anche la Fao, Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura, spiega la rappresentante Fatouma Seid, è intervenuta a sostegno delle famiglie nel Tigray. A cinquantamila sono stati distribuiti semi di grano, teff e ortaggi. Ad altre centomila è stato vaccinato il bestiame, in una situazione in cui mancano le cliniche veterinarie. L’agricoltura, fonte primaria di sostentamento, è aiutata perché il conflitto, avendo impedito la normale semina, non metta a rischio il futuro raccolto. “La malnutrizione” dice Msf “soprattutto nei bambini è un problema già presente, che il conflitto ha acuito”. Ora il cessate il fuoco chiesto al governo dall’amministrazione tigrina pro tempore, dovrebbe facilitare la distribuzione degli aiuti alle famiglie e, soprattutto, permettere ai contadini di riprendere il lavoro nei campi.
Nelle aree rurali non c’è l’energia elettrica, quindi le pompe d’acqua non funzionano. Il rischio è che la gente si ammali utilizzando acqua sporca, perciò Msf si sposta di villaggio in villaggio per ripristinare le pompe manuali e aiutare anche così la popolazione.
Ora, con il cessate il fuoco, l’aiuto delle organizzazioni internazionali, con le cliniche mobili e la distribuzione di cibo e medicine, avverrà meglio, con minor pericolo per gli operatori e la popolazione. Del resto fin dall’inizio obiettivo del governo di Addis Abeba è stato tutelare i civili e far luce su chi non avesse rispettato i diritti umani, come richiesto dal diritto internazionale.
La speranza è che questo cessate il fuoco sia il primo atto di un processo di pace.
L’agenzia Reuters riporta tuttavia la dichiarazioni, via telefono satellitare di Getachew Redae, esponente Tplf, che dice, “la capitale del Tigray, Mekellé, è sotto il nostro controllo”. A questa voce si aggiungono diverse testimonianze di festeggiamenti e lancio di fuochi d’artificio nel cielo della città dove sventolano bandiere giallorosse.
Sui social, sopravvissuti e affiliati del Tplf, scesi dalle montagne, promettono di combattere “finché tutti i nemici non saranno scomparsi”. Mentre la Reuters di Nairobi riporta la notizia di “rastrellamenti” da parte del Tplf a danno delle forze governative che lasciano la città, “tornata al 100 per cento sotto il loro controllo”.
Ecco, a caldo, le dichiarazioni del Tplf sul cessate il fuoco sono più trionfalistiche che pacifiste. Non accompagnate da parole sulla preoccupazione per il raccolto, sulla fame dei concittadini o sulla carestia incombente nella regione, governata da loro per più di trent’anni e passata a ferro e fuoco negli ultimi otto mesi.